Le Brigate di fanteria "marchigiane": Marche, Ancona, Macerata, Pesaro, Piceno

Le Brigate di fanteria "marchigiane": Marche, Ancona, Macerata, Pesaro, Piceno
Le Marche e la Grande Guerra. Il volume è disponibile in tutte le librerie. Si può ordinare alla Casa Editrice, (ordini@nuovacultura.it). Node su www.storiainlaboratorio.blogspot.com

giovedì 31 luglio 2025

La leadership in un gruppo definito Dinamica di un sottosistema

 

 

Prof. Sergio Benedetto Sabetta

 

 

Fu una battaglia degna di essere ricordata per il rabbioso coraggio delle truppe inglesi e per la straordinaria incompetenza dimostrata dai generali di ambo le parti”

(Woodham - Smith, Balaclava, Rizzoli 2002)

 

         Nell’attuale tumultuosa fase storica si è ripresentata la necessità dell’esame dei criteri e degli impulsi che stanno dietro alla creazione di una leadership, tanto più che il tutto è stato notevolmente modificato dall’introduzione dell’informatica che attraverso i vari sistemi di comunicazione ha reso più pregnante e sottile controllo e leadership, anche attraverso uno svuotamento culturale a partire dalle nuove generazioni  che ha permesso di passare dalla prevalente repressione alla più sottile suggestione che permette una repressione indiretta, come già intuito da Gunther Anderss.

         Solitamente i membri del gruppo forniti di leadership formale hanno la tendenza a proporre/imporre le proprie idee, avendone i mezzi per indurre i membri del gruppo a modificare il loro agire, tuttavia l’influenza sociale è un processo bidirezionale, circostanza che porta comunque ad una influenza sull’azione del leader.

         Accanto allo status riconosciuto e formalizzato, vi sono leadership informali che possono nascere dalla personalità (teoria della personalità) o dalle richieste funzionali della situazione (teoria situazionale).

         Si realizzano nel gruppo due leadership, una esperta del compito, l’altra nel settore socio-emozionale, la prima fornita dalle abilità tecniche necessarie, la seconda capace di fornire risposte alle manifestazioni emotive all’interno del gruppo, i due ruoli possono essere separati e convergenti, ma questo non esclude la possibilità di raccoglierli in una unica leadership; pertanto il leader migliore risulta essere colui che pur riuscendo a realizzare le attività del gruppo resta sensibile alle opinioni e ai sentimenti dei membri.

         Il fattore efficienza della leadership si realizza praticamente come una variabile dipendente tra stile del leader e tipo di situazione da affrontare, in altre parole l’atteggiamento del leader dipende dalla situazione più o meno favorevole (Modello interazionista).

         Fiedler ha individuato a riguardo tre elementi che determinano la “favorevolezza” della situazione:

 

·        L’atmosfera del gruppo (fiducia, lealtà, rispetto);

·        La struttura del compito, in cui vi siano istruzioni chiare per raggiungere uno scopo ben definito;

·        Il potere che possiede il leader in termini di ricompense e sanzioni.

 

 

In questo schema si può osservare che la relazione leader-membri è la più importante, solo successivamente si strutturano il compito e il potere, deve comunque notarsi che in gruppi caratterizzati da una forte componente tecnica è su questa capacità che si fonda una notevole parte della leadership.

         Recentemente l’aspetto piuttosto statico dello schema di Fiedler , per il quale i tratti di una personalità restano immodificabili, è stato sottoposto a critica in favore di una analisi della leadership come processo, emerge a tale proposito l’importanza delle norme nella regolamentazione del comportamento del gruppo, infatti viene evidenziato che ciascun individuo è influenzato dalle norme comportamentali costituite nel gruppo talché il leader è custode delle norme, ma può anche essere elemento innovativo proponente l’adozione di nuove norme.

         Hollander osserva che la leadership si costruisce inizialmente sulla propria “credibilità” di fronte al gruppo, definita come “credibilità idiosincratica” questa fornisce la legittimità necessaria per influenzare i membri e innovare le regole del gruppo, uno dei momenti fondamentali in questo processo è quello di adeguarsi inizialmente alle norme del gruppo stesso, dobbiamo considerare che tre sono le fonti di legittimità:

 

·        Il processo mediante il quale il leader ha raggiunto la propria posizione, elezioni interne o esterne, nomina da autorità esterna o altro;

·        Capacità di raggiungere i compiti del gruppo;

·        Identificazione del leader con gli ideali e le aspirazioni del gruppo.

 

Inoltre devono considerarsi i rapporti esistenti tra i gruppi, infatti sussiste una stretta interdipendenza tra i processi all’interno del gruppo e quelli tra i gruppi, la leadership viene consolidata dalla capacità relazionale intergruppi.

Bavelas concepisce i gruppi come “legami” di comunicazione nel quale la leadership assume un ruolo corrispondente ad un “indice di centralità”, in cui tuttavia la crescente complessità dei compiti impone l’analisi e l’integrazione di una maggiore quantità di informazioni, circostanza che conduce ad una decentralizzazione della comunicazione nel gruppo a seguito di una sua superiore efficienza in presenza di una elevata elaborazione.

La funzione integrativa che ricade solo su un soggetto può determinare un “sovraccarico cognitivo”, si ché risulta più economico non centralizzare eccessivamente i processi decisionali compensando rapidità di decisione e necessità di una ampia raccolta ed elaborazione delle informazioni.

Altro elemento che interviene in un gruppo è la motivazione che per Vroom è una combinazione moltiplicatoria dell’aspettativa, intesa quale probabilità soggettiva al raggiungimento di un determinato obiettivo, con l’utilità soggettiva che il soggetto attribuisce alla meta-incentivo (teoria aspettativa - valore).

La formazione dell’aspettativa è a sua volta il risultato del rapporto della scala di valori propri dell’individuo con la specifica esperienza nel promuovere i comportamenti necessari al raggiungimento dell’obiettivo, il raggiungimento della meta-incentivo costituisce una funzione di rinforzo nel confermare l’impegno senza mai confondere la “valenza dell’incentivo”, come soddisfazione anticipata, dal “valore del risultato”, in cui vi è una soddisfazione reale.

In qualsiasi decisione rimane comunque la possibilità di una “dissonanza cognitiva”, per cui il processo di decisione non si esaurisce con la decisione stessa, ma restano sempre presenti le possibili alternative scartate, si ché necessita una continua riconferma della decisione presa al fine di ridurre tale tensione.

Questo può accadere in quanto, secondo la “teoria della dissonanza cognitiva”, l’individuo tende a mantenere una certa coerenza tra conoscenze, credenze e opinioni costituenti i propri elementi cognitivi, questo induce ad eliminare la dissonanza proprio all’interno del dato cognitivo dissonante di minore resistenza.

L’intensità della dissonanza cognitiva deriva dall’importanza che la decisione ha per l’individuo, il numero delle alternative che si presentano, le caratteristiche positive e negative delle alternative.

Se il vincolo su una decisione è esterno l’intensità della dissonanza è in rapporto inverso al valore dell’incentivo e viene a diminuire nel tempo.

Questo bisogno di coerenza mentale è caratteristico dell’attività post- decisionale, del tutto differente dal “conflitto” che precede la decisione, nonché dal “rimpianto”, nel quale si rifiuta la decisione presa polarizzandosi sugli attributi positivi dell’alternativa rifiutata, ma il gruppo può essere anche un luogo conflittuale, fonte e origine di frustrazione, del sorgere di ostacoli alla soddisfazione dei propri bisogni, che diventano carichi di emotività, sia nell’ipotesi di ostacoli ambientali organizzativi che nell’ipotesi inversa di carenze personali psicologiche o professionali.

Tuttavia nonostante sia una esperienza spiacevole la frustrazione non è sempre negativa e destabilizzante sul comportamento, se non addirittura utile ai fini di una maturazione dell’individuo, quello che la caratterizza è la sua intensità, la durata della stessa, la possibilità di superarla mediante compensazione, nonché la sua arbitrarietà, pertanto la tollerabilità del livello di frustrazione costituisce un indice della maturazione dell’individuo, come la capacità di analisi critica del proprio comportamento.

Se il fattore tempo è un elemento fondamentale sulle dinamiche della frustrazione, altri “meccanismi di difesa” come l’autoinganno possono favorire l’adattamento psicologico dell’individuo proteggendone l’autostima.

Dobbiamo considerare che l’organizzazione è fonte di incentivi per alcuni elementi propri dell’uomo, quali il successo, lo sviluppo, l’autorealizzazione e la sicurezza.

In essa si sviluppano sentimenti quali l’orgoglio che può assumere due facce opposte, quella di un alto livello di autostima o al contrario di narcisismo, quando il singolo si pone quale causa predominante di un evento nella prima ipotesi, instabile e controllabile, orientata all’obiettivo, nella seconda stabile e non controllabile, presuntuosa rappresentazione relativa al proprio sé globale.

 

 

Bibliografia

 

·        D. Campus, Lo stile del leader. Decidere e comunicare nelle democrazie contemporanee, Il Mulino, 2016.

Gunther Anders, L’uomo è antiquato, B

domenica 20 luglio 2025

La Campagna d'Italia 1943 1945 L'Italia ed i rapporti con gli invasori. La politica Militare.

 

La campagna d'Italia iniziata con lo sbarco in Sicilia il 9 luglio 1943, per gli alleati significò inizialmente, il controllo delle rotte mediterranee. Conquistata la Sicilia con l’accettazione dell’armistizio del settembre 43. erano riusciti a far uscire l’Italia dalla coalizione hitleriana. Conquistata Napoli il 1 ottobre 1943, dopo tre settimane dallo sbarco di Salerno, puntarono decisamente verso nord con gli statunitensi gravitanti sul versante tirrenico ed i britannici sul versante adriatico. Con l'inizio della stagione autunnale, le condizioni meteorologiche sempre più avverse, la natura del terreno particolarmente adatta alla difesa rallentarono di molto la progressione alleata verso nord. Roma che si auspicava raggiungere in poche settimane, era sempre più lontana.


Per i tedeschi significò il controllo del territorio italiano, una ulteriore apporto diretto allo sforzo bellico con l’acquisizione delle ricchezze italiane, sopratutto quelle agricole, non disdegnando quelle industriali che di regola venivano trasferite ove possibile nel territorio metropolitano del Reich, un ulteriore acquisizione di mano d’opera, da utilizzare anche con regimi schiavistici, un sollievo per aver perso un alleato che si era rilevato i termini di concorsi operativi di poca consistenza. Tutto il rimanente potenziale militare italiano fu requisito dalla Werhmatch e con esso le forze armate tedesche completarono il loro equipaggiamento ed armamento dal settembre 1943 all’aprile 1945. Infine l’atteggiamento dell’esercito tedesco in Italia. La politica d’occupazione germanica nei confronti dell’Italia e della sua popolazione da settembre 1943 all’aprile 1945 era ispirata al concetto che le truppe operanti si sentivano e consideravano l’Italia un territorio nemico con quello che significa. Questo atteggiamento fu costante, anche dopo che fu costituita la Repubblica Sociale Italiana., e mai i tedeschi consideravano l’Italia repubblichina un territorio di un paese “alleato ed amico”. Nelle questioni fondamentali il governo fascista non disponeva di effettiva sovranità e la supremazia nazista si esplicò in piena autonomia e sancita con atti ufficiali d’imperio. Gli occupanti, come si consideravano i tedeschi, si riservarono il diritto di preda bellica, nonostante i governanti fascisti ritenessero giuridicamente insussistente tale pretesa.

Da questa impostazione discende la grande differenza che esiste nei rapporti tra Il Regno d’Italia e gli Alleati, e tra la Germania e la Repubblica Sociale Italiana, anche in tema di impiego di unità combattenti, dall’altissimo significato politico.


Sul piano strettamente politico, l’atteggiamento tedesco nei confronti di Salò fu improntato al totale divieto e rifiuto di impiegare unità combattenti italiane repubblichine al fronte meridionale, ed i comandanti tedeschi da Kesserling ai suoi più stretti collaboratori furono irremovibili nel derogare da questa linea politica. Il loro giudizio sostanzialmente era che non ritenevano i camerati italiani dei combattenti affidabili. Le quattro divisioni addestrate in germani, le altre unità dell’Esercito di Graziani, La Guardia Nazionale le Brigate Nere e le altre forze repubblichine dovevano essere impiegate sul fronte interno, a controllo del territorio, in funzione antipartigiana, nel settore logistico. Non faceva eccezione la X MAS, che peraltro non faceva parte delle forze armate della Repubblica Sociale, che in virtù di questo suo particolare status, riuscì ad inviare un Battaglione, il “Barbarigo”, sul fronte di Anzio, cosa che, in vicende abbastanza turbolente, costò anche l’arresto momentaneo del suo Comandante da parte fascista tanto era la frammentazione militare nell’ambito della RSI. Ampio era, invece, il reclutamento di camerati italiani nelle fila dell’Esercito tedesco e nelle unità delle Waffen-SS. Costoro prestavano giuramento al Furher e non erano considerati soldati italiani, ma tedeschi di origine italiana nel quadro del Grande Reich, come i norvegesi, i belgi, i francesi, i cosacchi ecc.


I rapporti in campo militare tra il Regno d’Italia e gli Alleati erano diametralmente opposti a quelli tedeschi. Gli alleati crearono subito le Unità Ausiliarie, poi le salmerie di Combattimento, cercando di avere uomini per la loro logistica militarizzati, al comando di ufficiali italiani. Dopo tre mesi dalla firma dell’armistizio unità combattenti italiane entrarono in combattimento a fianco degli alleati contro i tedeschi. Questo nell’ambito della Repubblica Sociale non accadde mai nel corso dei 600 giorni di Salò.. Anche gli alleati non avevano una grandissimo opinione degli italiani come combattenti, sopratutto i Britannici; questi infatti adottarono più o meno la stessa linea politica adottata dai tedeschi: erano contrari all’impiego in linea di unità italiane: Gli Statunitensi, di contro, consci della loro carenza in termini di uomini, erano propensi a formare unità combattenti italiane. Certamente anche loro avevano delle riserve e permisero la costituzione solo di una unità a livello di Raggruppamento Motorizzato (5000 uomini) e lo misero alla prova a Montelungo. Questa prova non fu soddisfacente, in parte anche per demeriti delle truppe statunitensi, e la questione pro o contro, rimase in sospeso fino a Monte Marrone. Qui si ebbe la svolta. Avendo constatato che la guerra in montagna doveva essere condotta da truppe specializzate e loro non ne avevano, con Monte Marrone gli Italiani dimostrarono di essere in grado di condurla, gli Statunitensi non esitarono a risolvere la questione a favore degli Italiani. Questo potevano sopperire alla carenza di uomini, assegnati sul versante adriatico che sostanzialmente era meno importante di quello tirrenico, e diedero tutto il loro appoggio al potenziamento delle unità di combattimento italiane.

Il passaggio dal I Raggruppamento Motorizzato al Corpo Italiano di Liberazione, da 5000 combattenti prima a 14000 poi a 25.000 fino a settembre 1944 combattenti segue questa logica ed avvenne due settimane dopo che Monte Marrone fu occupato e difeso.

L’Italia ebbe la possibilità di combattere, ma, cosa più importante, ebbe in nuce, il nucleo centrale da cui si generò, con nuova mentalità, nuovi metodi, nuovi criteri le forze armate della nuova Italia. Si può dire che da Monte Marrone, per merito di un battaglione di di Alpini, l’Italia uscì dal tunnel della seconda guerra mondiale con la sua sequela di sconfitte e ritirate ed iniziò un nuovo percorso nel campo militare e di politica militare.


giovedì 10 luglio 2025

La vicenda del "Conte Rosso" L'Azione di soccorso del Motoveliero "Elsa"

 



“L’AFFONDAMENTO DEL PIROSCAFO REQUISITO “CONTE ROSSO” - 24 MAGGIO 1941”.

APPENDICE 03/2025 DEL 01.07.2025

L’AZIONE DI SOCCORSO DEL MOTOVELIERO “ELSA”

 

Nell’ottobre del 2023 l’Istituto del Nastro Azzurro Fra Combattenti Decorati al Valor Militare ha pubblicato, a cura del suo Centro Studi sul Valor Militare (CESVAM) e per i tipi Archeoares, il saggio di Marco Montagnani, “L’affondamento del Piroscafo requisito “Conte Rosso” - 24 maggio 1941”. Oramai pressoché esaurito.

L’Autore vuole divulgare, con cadenza mensile, salvo imprevisti o contingenze, appendici di ciò che per vari motivi non ha trovato posto nell’opera pur essendo interessante, compresi aggiornamenti e correzioni ai suoi contenuti e le novità importanti relative alla tragica storia del Piroscafo.

Ogni appendice è caratterizzata dalla sintetica significatività dei suoi contenuti.

 

Chiunque volesse fornire a titolo gratuito materiali per questa rubrica, la cui pubblicazione sarà insindacabilmente valutata dalla Redazione, potrà scrivere all’indirizzo: federazione.asti@istitutonastroazzurro.org allegando la liberatoria che ne autorizza la divulgazione. Detti materiali non saranno restituiti salvo particolari accordi.

 

L’AZIONE DI SOCCORSO DEL MOTOVELIERO “ELSA”

 

“Giuseppe Padovani, comandante del motoveliero “Elsa” – requisito nel giugno del 1940 e messo a disposizione della Regia Marina Italiana – e i suoi marinai riuscirono a salvare trentacinque naufraghi del transatlantico “Conte Rosso”, affondato nel Mediterraneo centrale»

 

Il grande piroscafo “Conte Rosso” era partito la mattina alle quattro del 24 maggio 1941 da Napoli […]. In occasione del suo affondamento, il motoveliero Elsa del Compartimento di Rimini – che da circa un anno prestava servizio di vigilanza antiaerea presso una base della Sicilia –, riceveva l’ordine di salpare immediatamente per cooperare al salvataggio dei naufraghi. Gli intrepidi marinai riminesi, ad onta del mare tempestoso avvolto nella più assoluta oscurità, obbedivano all’ordine ricevuto e senza alcun indugio si mettevano al seguito di una grossa unità navale per raggiungere il luogo. Durante il tragitto, a causa del buio, perdevano il contatto. Privi della loro guida e senza alcun orientamento di rotta, i nostri marinai vagarono sino alle prime luci dell’alba, quando, fortunatamente, avendo scorto sul mare alcune tracce del naufragio, riuscirono ad avere un punto di riferimento per proseguire le ricerche e compiere l’atto altamente umano per cui si erano mossi dalla base. Avvistata finalmente una zattera, con manovre assai difficili per la furia degli elementi marini, riuscivano ad accostarla e a prendere a bordo del loro motoveliero i ventuno uomini che vi si trovavano, alcuni dei quali feriti. Successive ricerche portavano alla scoperta di un’altra zattera con altri naufraghi che furono tratti a bordo dell’“Elsa”. Dopo aver scrutato ancora invano la distesa infinita del mare per scorgere altri scampati al naufragio, i nostri bravi marinai deliberarono di ritornare a terra, anche perché gli uomini raccolti avevano bisogno di ristoro e di cure. Trentacinque furono le persone salvate da Giuseppe Padovani e dai suoi valorosi marinai (dalla rivista ARIMINUM – Anno XIX, n. 3, Maggio Giugno 2012).