Le Brigate di fanteria "marchigiane": Marche, Ancona, Macerata, Pesaro, Piceno

Le Brigate di fanteria "marchigiane": Marche, Ancona, Macerata, Pesaro, Piceno
Le Marche e la Grande Guerra. Il volume è disponibile in tutte le librerie. Si può ordinare alla Casa Editrice, (ordini@nuovacultura.it). Node su www.storiainlaboratorio.blogspot.com

lunedì 31 ottobre 2022

Prima Guerra Mondiale. Caporetto

 

Caporetto e la resistenza del forte di Monte Festa

Ten cpl. Art. Pe. Sergio Benedetto Sabetta

 

            Nel 1917 le opere del forte di Monte Festa erano ancora armate a differenza di molte altre fortificazioni di confine, esse consistevano in 4 pezzi da 149 mm in cupola corazzata con 2.600 granate, altri 4 pezzi da 149 mm G aventi a disposizione 300 granate in barbetta, una sezione antiaerea da 75 mm con 400 colpi in cupola d’acciaio, mentre vi era una assoluta carenza di mezzi per la difesa ravvicinata.

            Il presidio era costituito da 2 tenenti dell’8° Reggimento artiglieria da fortezza, 1 tenente del 3°Reggimento artiglieria da fortezza, 2 tenenti medici, 2 marescialli, 120 soldati dell’8° compagnia dell’8° Reggimento da fortezza, 30 della 4 sez., antiaerea, 20 del 150° battaglione della Milizia Territoriale, 5 eliografisti e 2 telefonisti, con 34 quintali di gallette e 9.000 scatolette di carne.

            Il 26 ottobre il Comando Supremo aveva dato ordine telegrafico di ripiegamento indicandone le modalità, ma disponendo la resistenza ad oltranza per il forte di Monte Festa.

            Il 27 ottobre giunse al forte il Capitano Noel Winderling con l’ordine preciso di organizzare la difesa, ordine ribadito alla sera dal Comando d’artiglieria del XII Corpo d’Armata, Gen. Sacchero.

            Dal 26 al 29 ottobre, sotto bufere di neve e pioggia che imperversavano sulla zona, si procedette a rendere operativi i pezzi e alla preparazione dei dati di tiro relativi agli obiettivi acquisiti organizzando gli osservatori di forcella Amariana e Monte San Simone.

            Le artiglierie del forte entrarono in azione alle 10,50 del 30 ottobre, investendo con il loro fuoco le avanguardie nemiche sul Tagliamento, i tiri si basarono sui dati teorici essendovi nebbia nella valle, furono inquadrati il ponte sul Fella, il ponte di Tolmezzo, la stretta di Sompave, La Maina e la stazione per la Carnia.

            Nel frattempo le Divisioni 26^, 36^ e 63^ nel loro ripiegamento si posero ai fianchi e dietro al forte, il comando della 63° divisione si installò ad Alesso e prese immediato contatto con il comando del forte, il quale a sua volta rinnovò le richieste di mezzi al Comando di Corpo d’Armata già formulate il 27 ottobre.

            Il 31 ottobre il tempo migliora e i tiri vengono rettificati, tutti i pezzi da 149 mm e 75 mm sono in azione, ma la visuale è limitata dai monti circostanti e le linee telefoniche sono interrotte, si procede con staffette ed eliografo quando si dissolve la nebbia.

            Il 1 novembre l’osservatorio di forcella Amariana cadeva in mano agli austriaci, rimanendo solo l’osservatorio di San Simeone, continuano i tiri di interdizione, in particolare verso Tolmezzo dove fu respinta una colonna nemica di circa 300 uomini.

            Il 2 novembre gli austriaci e i tedeschi iniziano a forzare il Tagliamento gettando un ponte nei pressi di Amaro, immediatamente dal forte si risponde con i tiri di interdizione che bloccano la prosecuzione dei lavori. Alle 9,30 dello stesso giorno arriva un messaggio dal comando della 63° Divisione con il quale si avverte di un imminente attacco nei pressi del ponte Braulis, appoggiato dall’artiglieria posta nei dintorni di Osoppo, che tuttavia non si trova nella visuale dell’osservatorio o del forte, si tenta pertanto uno sbarramento con tiri indiretti.

            Con l’invio di due tenenti di artiglieria a rinforzo del forte, viene comunicato il probabile arretramento della 63^ divisione verso San Francesco, mentre gli austro tedeschi la notte del 3 novembre riprendono i lavori sul fiume Fella, la zona viene pesantemente battuta  anche per coprire il ripiegamento della divisione.

            Un ultimo rinforzo arrivò nella notte dal 3 al 4 novembre dalla 63^ divisione, un aspirante ufficiale con 25 soldati del 280° Reggimento, che furono immediatamente impegnati nel rafforzamento delle difese di prossimità.

            Nel frattempo, mentre veniva battuto il passaggio sul Fella, cessavano tutte le comunicazioni telefoniche con il riuscito ripiegamento delle tre divisioni italiane e il conseguente completo accerchiamento del forte, il quale cominciava ad essere a sua volta battuto dall’artiglieria nemica.

            Il successivo 5 novembre vi fu un aumento del volume di fuoco dell’artiglieria nemica, mentre cominciavano a scarseggiare le munizioni per i pezzi del forte.

            Nella notte il nemico attaccò la batteria da 75 mm con la 5^ compagnia della 92^ divisione e un battaglione del reggimento Pappitz, Jagerdivision, l’attacco fu respinto con la sola mitragliatrice in dotazione al forte.

            Alle 9 del 6 novembre si rinnovò l’attacco da varie posizioni che raggiunsero un angolo morto non battuto, l’unica mitragliatrice si inceppò e si giunse a far rotolare per il pendio tutto quello che si trovava, mentre gli uomini si spostavano da un posto all’altro per creare nel nemico la sensazione di una forte presenza numerica.

            Nel mezzo dello scontro fu issata bandiera bianca da un gruppo di attaccanti con la richiesta di parlamentare, condotti bendati dal capitano Winderling gli offrirono la possibilità di una resa onorevole.

            Offerta una lauta colazione ai parlamentari, anche per fare credere una abbondanza di viveri in realtà ormai scarseggianti, il comandante radunò un consiglio di guerra nel quale propose di rompere l’accerchiamento con i soli uomini che volontariamente l’avessero seguito, sciogliendo gli altri dal giuramento.

            L’ambasceria fu rimandata indietro con il rifiuto scritto alla resa in busta sigillata per acquisire tempo, mentre si preparavano le cariche da fare brillare per distruggere i pezzi da 149 mm sia in cupola che su piazzola, oltre ai restanti depositi.

            Fu aperto contemporaneamente il fuoco per consumare gli ultimi colpi, di cui uno colpì un deposito munizioni a Tolmezzo, quindi fu dato fuoco alle micce e gli otturatori dei 75 mm gettati nei dirupi, una colonna di circa 100 uomini, metà del presidio, di dispose a scendere verso la zona paludosa di Somplago per forzare il blocco nemico.

            Purtroppo l’avvicinamento avvenne verso il paese di Somplago deviando dalle paludi e colonne nemiche si posero di traverso, iniziando un fuoco di fucileria, fu ordinato di piegare verso sud, disperdendosi.

            Solo il cap. Winderling, con il ten. Tomei, il maresciallo Federzoni, un sergente e tre soldati riuscirono a sfuggire alla cattura, finché presso il paese di Claut, in un casolare lasciarono le divise e nascosero il carteggio del forte, recuperato nel dopoguerra, proseguendo la fuga.

            Lungo la strada tra i paese di Cimolais ed Erto furono catturati il sergente, il maresciallo e i due soldati, mentre dopo venti giorni di marcia solo Winderling, il Ten. Tomei e il soldato Leon arrivarono ad Aganna dietro le linee austriache, dove per altri venti giorni cercarono di attraversare le linee finché vennero catturati il 15 dicembre.

            La resistenza del  forte sul monte Festa fu citata sia dal Comando Supremo italiano nei bollettini dell’8 novembre e del 9 novembre 1917, che dal gen. Hordt e dal Capo di Stato Maggiore dell’esercito austro-ungarico, generale Artur Arz von Strassenburg, meritando al cap. Winderling la medaglia d’argento al valor militare nel 1922.

            Questa battaglia la si può considerare l’ultima resistenza riuscita in fortezza della storia militare italiana.

 

Tratto da “I Forti della Grande Guerra”, di Leonardo Malatesta, P. Macchione Ed., 2015.

mercoledì 19 ottobre 2022

Incontri alla Università delle Tre Età -Osimo sul tema della Prima Guerra Mondiale

 Dal mese di ottobre 2022 ad aprile 2023 si terranno Osimo alla Università delle Tre Età incontri dal tema

RIFLESSIONI SULLA GRANDE GUERRA

 

 Gli Interventi avranno come oggetto la situazione politico-internazionale dell'Italia all'Inizio del Novecento, La Triplice Intesa. I  difficili rapporti con L'Austria-Ungheria. La situazione nel giugno-luglio 1914 in cui l'Italia si trovò a non avere ne alleati ne amici ma praticamente sola ed isolata. La genesi dell'Intervento il Patto di Londra e la scelta di Campo, I risvolti militari.

La descrizione a cenni dello sviluppo della guerra: Le battaglie di logoramento Cenni veloci), Caporetto, le due battaglie difensive e Vittorio Veneto. I rapporti con gli Alleati. I Capi Pollio, Cadonra Diaz. La conclusione. L'Italia vince la guerra per tutti gli alleati dell'Intesa, sul campo. Le conseguenze . Gli Italiani in Baviera. Novembre 1918 La Germania si arrende.. Dalla vittoria militare sul campo alla sconfitta diplomatica alla Conferenza di Pace.
Si da per acquisito un certo livello di conoscenza di tutto l'argomento. 



Testi:
 Massimo Coltrinari, Riflessioni sulla Grande Guerra. Verso la Guerra. Ne alleati ne Amici, Roma Università La Sapienza. Edizioni Nuova Cultura. Vol I.,  

Massimo Coltrinari, Riflessioni sulla Grande Guerra. La Guerra. Una vittoria sul campo, Roma Università La Sapienza. Edizioni Nuova Cultura. Vol II      

Massimo Coltrinari, Riflessioni sulla Grande Guerra. Verso la Guerra. La Vittoria ed i suoi artefici,I Generali Italiani nella Grande Guerra Roma Università La Sapienza. Edizioni Nuova Cultura. Vol III. 

I Volumi indicati sono disponibili in Osimo, presso la Biblioteca delle III Età - mente  massimo Coltrinari 

lunedì 10 ottobre 2022

Ricerche: 1917

 

Maria Luisa Suprani Querzoli

 

27 agosto 1917

Lo scoppio della polveriera di Sant’Osvaldo: coincidenze inquietanti

 

Il 27 agosto 1917 la Battaglia della Bainsizza (capace di risultati notevoli, seppur decisamente inferiori alle proiezioni del Comandante la II Armata) accenna a volgere al termine quando uno scoppio violentissimo getta nel panico l’intera città di Udine, sede del Comando Supremo:

 

[…] alle 11,19, mentre sto per entrare [al Comando Supremo], avviene una esplosione formidabile, che scuote tutte le case, rompe tutti i vetri, spacca tutti i tramezzi. […] La gente si getta fuori delle case, scarmigliata. La scena è impressionante. Le detonazioni si seguono con violenza e frequenza sempre maggiori. Sembra di essere fra un violentissimo bombardamento. […] Circolano le prime voci, che hanno qualche certezza: è scoppiata la polveriera di Sant’Osvaldo. Ci sono là 100.000 bombe, polveri, 40.000 quintali di fieno, i depositi di benzina di tutta la 2ª armata. È una cosa spaventevole.[1]

 

Il panico toccò il punto massimo all’idea (dimostratasi in seguito non veritiera) che anche i gas venefici presenti nei proiettili a liquidi speciali aleggiassero nell’aria.

Per numero di vittime e perdita di materiali la stima del danno appare subito grave.

 

Circola la voce che lo scoppio sia doloso. Gabriele D’Annunzio dice che a Roma è scoppiata l’altro ieri sera la polveriera di forte Appio, con un centinaio di morti. Ad Alessandria è successo suppergiù lo stesso.[2]

 

Il giornalista Rino Alessi, a differenza del colonnello Gatti, si interroga senza perifrasi: «[c]hi o che cosa ha fatto saltare la polveriera? Ecco il tragico interrogativo a cui forse nessuno risponderà lasciando nell’aria i più atroci dubbi. Altre polveriere sono saltate, come Lei forse sa, in altre parti della Penisola. Chi o che cosa le ha fatte saltare?»[3].

Il dubbio circa il dolo  assunse particolare consistenza ma – dato il frangente critico – non si ritenne opportuno far luce per evitare la ricaduta che l’emergere di verità destabilizzanti avrebbe potuto avere sul morale già incrinato dell’Esercito (e della Nazione).

In seguito si giunse alla conferma[4] dei sospetti che fin da subito circolarono.

Un incidente analogo (seppure di portata ben minore) si era già verificato in zona di guerra, circa dieci giorni prima.

L’XI Battaglia dell’Isonzo ancora non aveva avuto inizio quando, nell’area del XXVII Corpo d’Armata[5], lo scoppio di una bombarda[6] compromise la sorpresa con cui il Comandante d’Armata intendeva fiaccare il nemico in un tratto della fronte il cui presidio appariva rarefatto: l’intento principe che muoveva Capello tanto da fargli distorcere, nella sostanza, gli ordini ricevuti era costituito dalla soppressione del pericolo incombente da Tolmino, affidata appunto al XXVII Corpo.

Lo scoppio che si verificò in quel settore compromise quindi un elemento essenziale del piano lungimirante, lasciando indirettamente in vita i presupposti che avrebbero portato alla sconfitta dell’ottobre successivo.

La possente vittoria della Bainsizza mise a tacere tutto e sulle difficoltà incontrate dal XXVII Corpo d’Armata non si ritornò più di tanto, attribuendole esclusivamente (ed erroneamente[7]) al mancato impulso del generale Vanzo.

Esposte le premesse ci si può chiedere se anche l’incidente che interessò l’area del XXVII Corpo d’Armata (da valutarsi soprattutto nella portata delle sue conseguenze, capaci di decapitare l’intento di Capello e, indirettamente, di dare origine ai presupposti della sconfitta) era di matrice dolosa.

Il dubbio appare ragionevole.

Il computo delle responsabilità circa l’esito della XXII Battaglia dell’Isonzo  (computo a suo tempo teso più a trovare capri espiatori per tacitare gli animi che a far luce sulla verità storica[8]) non sarà completo se non quando, seppur a distanza di oltre un secolo, si risalirà ai mandanti di tali scoppi, la cui serrata successione appare tutt’altro che accidentale.



[1] A. Gatti, Caporetto. Dal diario di guerra inedito (maggio – dicembre 1917) (a cura di A. Monticone), Bologna: Il Mulino, 1964, pp. 194 – 195.

[2] Ivi, p. 196.

[3] R. Alessi, Lo scoppio della polveriera di Sant’Osvaldo, 27 agosto 1917, in Dall’Isonzo al Piave, Milano: Mondadori, 1966, p. 103.

[4] Cica le conferme inerenti al dolo cfr. G. Del Bianco, La guerra ed il Friuli, vol. 2 (Sull’Isonzo e in Carnia. Gorizia. Disfattismo), Udine: Del Bianco Editore, 2001.

[5] Il XXVII Corpo era allora comandato dal generale Augusto Vanzo, prima di essere sollevato dall’incarico (e sostituito con il generale Pietro Badoglio, comandante il II Corpo).

[6] Cfr. L. Capello, Note di Guerra, vol. II, Milano: Fratelli Treves Editori, 1921, p. 109.

[7] Anche sotto il comando di Badoglio il XXVII Corpo d’Armata continuò a confrontarsi con obiettive difficoltà (cfr. ibidem)  capaci di interferire negativamente  con gli obiettivi auspicati dal Comandante d’Armata (cfr. ivi, p. 113).

[8] Il riferimento è alla Relazione che concluse i lavori della Commissione d’Inchiesta istituita dal R.D. 12 gennaio 1918 n. 35.