Le Brigate di fanteria "marchigiane": Marche, Ancona, Macerata, Pesaro, Piceno

Le Brigate di fanteria "marchigiane": Marche, Ancona, Macerata, Pesaro, Piceno
Le Marche e la Grande Guerra. Il volume è disponibile in tutte le librerie. Si può ordinare alla Casa Editrice, (ordini@nuovacultura.it). Node su www.storiainlaboratorio.blogspot.com

lunedì 28 ottobre 2019

Rivista QUADERNI del Nastro Azzurro Sommario e Nota Redazionale

 SOMMARIO
 Anno LXXIX, Supplemento IX, 2018, n. 4, 10° della Rivista “Quaderni”  www.istitutodelnastroazzurro.it indirizzo:centrostudicesvam@istitutonastroaz zurro.org 

Editoriale del Presidente.  Carlo Maria Magnani: 


IL MONDO DA CUI VENIAMO: LA MEMORIA           

APPROFONDIMENTI 

AA.VV, La Battaglia di Vittorio Veneto. Ricostruzione ed Analisi.
Luigi Marsibilio, La Battaglia di Vittorio Veneto 
Osvaldo Biribicchi, Comando Supremo Regio Esercito. Le truppe italiane negli altri campi della Grande Guerra 
Massimo Coltrinari, Un elenco Glorioso. Le Armate Italiane a Vittorio Veneto nella versione del Comando Supremo.
 Alessia Biasiolo, L’Impero italiano in epoca fascista 

DIBATTITI 
Giovan Battista Birotti, Soldati e contadini. L’Esercito giapponese nel periodo Meiji (1868-1912)

ARCHIVIO 
Redazionale, Chiara Mastroantonio, Lo Statuto della Legione AzzurraPag.00 

MUSEI,ARCHIVI E BIBLIOTECHE 

Alessio Pecce, Giulio Moresi, aspirante ufficiale, bersagliere, caduto il 17 agosto  1917 sull’Hermada, sul Carso. Il Ricordo  

Posteditoriale: Antonio Daniele, Il Calendario azzurro per il 2019

IL MONDO IN CUI VIVIAMO: LA REALTA’ DI OGGI 

UNA FINESTRA SUL MONDO Sandra Milani, L’uso delle sostanze stupefacenti come strategia nella guerra e nel terrorismo islamico

GEOPOLITICA DELLE PROSSIME SFIDE Luca Bordini, Riflessioni sulla comunicazione digitale delle Forze Armate 

Autori. Hanno collaborato a questo numero.
Articoli di Prossima Pubblicazione
Segnalazioni Librarie. 

CESVAM NOTIZIE Centro Studi sul Valore Militare 

I “Quaderni on Line”, Supplemento on Line, Anno 5°, V, 2018,  Maggio 2018, n. 30 
I “Quaderni on Line”, Supplemento on Line, Anno 5°, VI, 2018  Giugno 2018, n.31.
I “Quaderni on Line”, Supplemento on Line, Anno 5°, VII, 2018, Luglio 2018, n. 32

“Quaderni” on line sono su: www.valoremilitare.blogspot.com 

PER FINIRE Massimo Coltrinari,  Il Valore Militare attraverso le Cartoline Militari ed oltre 

Nota redazionale: Il seguito di riflessioni in questo fine anno non può portare che ad aggiustamenti sulla attività del CESVAM. Si dovrà porre maggiore attenzione alle attività esterne del CESVAM stesso e porre delle pregiudiziali di collaborazione che siano allineate al livello di ambizione del CESVAM. Il dibattito che necessariamente deve esistere all’interno deve passare attraverso una distinzione. L’Istituto del Nastro Azzurro ha due componenti che lo distinguono dalle altre Associazioni 
Combattentistiche.  La prima. È quella dell’associazionismo combattentistico” in cui è necessario porre alla base la componente militare, quella di chi ha mostrato il proprio valore militare e gli è stato riconosciuto, quella associativa e in parte reducistica. Tutti elementi che fanno capo, almeno per i militari, alla legge dei Principi del 1977 che deve animare ogni militare della Repubblica se si vuole definire tale. In pratica è una funzione verso l’interno dell’Istituto, nelle sue componenti ed articolazioni.  La seconda. Quella di Ente Morale, che deve ispirare l’azione dell’Istituto del Nastro Azzurro al pari dei suoi similari (Istituto della Previdenza Sociale, Istituto per la Storia del Risorgimento, Croce Rossa, ecc.) in cui la componente militare è sempre presente, in cui emerge quella di chi ha mostrato il proprio valore militare, ma non gli è stato riconosciuto ufficialmente con le previste decorazioni e modalità, in cui emergono in oltre misura la disponibilità, l’altruismo, il senso di appartenenza, le tradizione militari dei Corpi e delle Unità, il senso del servizio, e soprattutto la volontà di portare i principi statutari anche verso l’esterno, verso le componenti della società civile, le nuove e le vecchie generazioni, nelle forme più efficaci. In pratica è una funzione verso l’esterno dell’Istituto.  Fra le due componenti vi deve essere sinergia, armonia, collaborazione. Occorre in tutti i modi che non emergano contrasti, invidie, contrapposizioni, prese di posizioni imposte, intolleranza. Qualora queste emergessero sarebbe un gravissimo errore quello di affrontarle di petto, con ”fieri ed animati accenti”; più opportuno ed intelligente sarebbe la soluzione che adotti pazienza, silenzio, comprensione e soprattutto mettere spazio e tempo per spegnere ogni fuoco o fuocarello. A questo proposito viene in aiuto Italo Calvino, il quale scrive in “Le città invisibili” 

L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se n’è uno, è quelle che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne: il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione ed apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e che cosa, in merito all’inferno, non è l’inferno, e farlo durare, e dargli spazio.” 


lunedì 21 ottobre 2019

QUADERNI NASTRO AZZURRO N. 4 del 2018

 





ANNO LXXX, SUPPLEMENTO IX, 2018, N. 4 , 
 In copertina: La Medaglia della Vittoria, coniata e firmata da Luciano Zanelli prodotta in tiratura limitata ha 67 mm di diametro e pesa 140 grammi. Disponibile in bronzo similoro. Disponibile presso la segreteria generale dell'Istituto
(segreteriagenerale@istitutonastroazzurro.org)

domenica 13 ottobre 2019

La Liberazione di Jesi 20 luglio 1944 4



13.5. Il fronte è passato.
Con la occupazione di Jesi, Ancona è stata liberata. Immediatamente si colgono i frutti di questa vittoria, e nel prosieguo delle operazioni, Ancona assurge a ruolo logistico primario, come base primaria per l’alimentazione dell’attacco alla linea gotica. Con questo ruolo via via acquista energie per riprendere. Il porto, la raffineria e l’aeroporto di Falconara vengono subito ripristinati, quindi riprendono a funzionare e svolgere la loro funzione. Terminano i bombardamenti, ma questo non significa il ritorno degli sfollati, che continuano la loro stentata vita dove erano stati ospitati. Occorreranno mesi ed anni, fino al 1947 ed oltre, affinché la situazione si normalizzi.
Il fronte è passato ed inizia veramente una nuova, quel nuovo cammino che sarà irto di difficoltà di ogni sorta ma che è permeato nella grande fiducia nel valori della libertà della democrazia, della partecipazione del rinnovamento e del progresso non solo materiale ma anche morale. Iniziano gli anni del dopoguerra in cui vi erano certezze, in cui si sapeva distinguere una cosa dall’altra, in cui si aveva fiducia nella classe politica che stava andando al potere, e soprattutto, vi era, pur nella miseria ancora dominate, serenità di vivere.
A settanta anni da quegli avvenimenti, una riflessione a tutto tondo, senza scendere nelle sabbie mobili di visioni di parte, appare necessaria ed utile, per riprendere un cammino che negli ultimi venti anni si è fermato.

lunedì 7 ottobre 2019

La Liberazione di Jesi 20 luglio 1944 3


13.3.“Grazie, Alpino, per quel pane”.
La gratitudine della popolazione per la liberazione dai Tedeschi e per la fine dei pericoli si manifesta in modo spontaneo, ed aumenta quanto ci si accorge che a portare la libertà sono degli Italiani, e non degli stranieri come ci si aspettava, e per giunta appartenenti ad un Corpo estremamente popolare come quello degli Alpini. Francesco Gualdoni così scrive, attingendo dai suoi ricordi:
“Grazie Alpino per quel pane!. Eri sui vent’anni ed io ne avevo appena quindici. Ci incontrammo alle sei di mattina di quel 20 luglio 1944, in prossimità dello “sporticello” di via Mura Occidentali, in una Jesi completamente deserta. Il sibilo di qualche granata isolata e di uno Spitfire, su in alto, con attorno i segni della contraerea che tirava dalle colline a
nord della città. Mi accorsi di averti fatto sbigottire perché tu, Alpino, vedesti all’improvviso un viso macilento, due occhi guardinghi sotto i capelli incolti, una canottiera più piccola dei buchi che si ritrovava, quel ch’era rimasto dei pantaloni corti, uno spago per degnissima cinta, e le Timberland di allora, la pelle dei piedi. Risalivo le scalette a quattro zampe, sfinito dalla fame e dalle lunghe veglie. Ero uscito dalle cantine del civico 4 di via dell’Orfanatrofio, dove le donne, rosario in mano, attingevano piangendo la fine di tutto. Ma anche il tuo “look” non era migliore del mio, il cappello con mezza penna (forse una “raffica”?) calato sugli occhi, la divisa “Kaki” che avrebbe richiesto abbondanti lavaggi e rattoppi. Procedevi con circospezione, rasente al muro, il MAB[1] spianato e pronto a far fuoco. Mi chiedesti se la Wehrmacht se n’era andata ed io, annuendo, avevo ancora negli orecchi il gran botto del cavalcavia del viale della Vittoria, ridotto in briciole in quella notte più lunga del solito, poco dopo che i guastatori in ritirata erano passati a dar voce sulla porta del rifugio: "Alles kaputt, achtung, saltare ponte!”.
Mi passasti un pezzo di pane, di un bianco che non avevo mai visto e mi desti il bene assoluto della libertà, di cui spesso sperimentiamo la formula con pessimo uso. Non feci nemmeno in tempo a dirti grazie. Mi sdebito oggi, con 45 anni di ritardo. Scusami, Alpino del battaglione “Piemonte” ma sberle e sberleffi della vita mi hanno insegnato che l’eternità del tempo si può anche misurare a secondi” [2]

13.4.“I carri funebri erano stati rubati dai fascisti per fuggire”.
Il passaggio del fronte fu una tragedia sociale. Impossibile descrive la situazione di ognuno, situazioni che dovrebbero essere riportate al presente per capire la immensità della tragedia stessa. Una sintesi di quei drammi, leniti in parte dalla esternazione di valori vissuti e praticati in questa testimonianza, che è anche ricordo struggente, memoria ed affetto per la liberazione da questi incubi da parte di una adolescente, a Jesi:
“Era da poco giorno, quel 20 luglio 1944 ed io ero in piazza del Duomo con nelle mani le borse contenenti fiaschi per andare a prendere l’acqua alla fonte di San Marco, perché, con tutto il resto, i Tedeschi avevano già da giorni fatto saltare l’acquedotto. Avevo 16 anni e con me erano altre due coetanee quando, dal lato opposto a quello in cui mi trovavo, ho visto spuntare soldati con mitra spianati; impaurita come ero e con me le mie compagne, fuggii verso i vicoli, gridando a chi poteva sentire di nascondersi, perché c’erano ancora i Tedeschi. Poi, seminascosta, tornai verso la piazza per vedere che altro di male potevano ancora volerci fare i Tedeschi, naturalmente pronta a darmela a gambe levate per nascondermi. I soldati avanzavano ed ora potevo distinguere meglio. E vidi meglio. Eravate Voi, i liberatori e quanto eravate belli, così come vi ho visto! Senza rendermene conto, lasciai le borse che ancora avevo in mano e vi corsi incontro. Non so se foste voi ad abbracciarmi o se fossi io, forse insieme, non ricordo. So solo che piangevo e ridevo insieme perché finalmente eravate arrivati eppoi perché eravate Italiani come noi. Mi sentii buttare in aria; ma appena a terra corsi di nuovo verso i vicoli gridando la notizia che da tanti giorni aspettavamo. Lì, per lì, la piazza si gremì di gente; ma io corsi a casa ( abitavo proprio lì vicino) per dire alla mia mamma ed a mio fratello, che stava morendo per i maltrattamenti subiti in un rastrellamento tedesco, che finalmente eravamo stati da Voi liberati. Non dico con quanta commozione comune, credo possa immaginarlo. Mario, mio fratello, sembrava guarito dalla felicità, mentre la mamma lo rassicurava e lo accarezzava insieme. C’ero eccome, quel giorno e quanto Lei ha scritto[3] è proprio tanto vero che mi pare di essere tornata indietro nel tempo. Sette giorni dopo, poi, di mattina vennero a casa nostra quattro soldati: un Alpino, un Bersagliere, un Paracadutista ed un Fante, guidati da un tenente medico degli Alpini. Erano stati informati che qui c’era un ragazzo di 19 anni che stava morendo e per quale causa. Sapevano anche che, nei pochi momenti di lucidità che aveva, era tormentato dal pensiero che, nonostante si fosse
rifiutato di trasportare le cassette di mine con le quali i Tedeschi volevano e fecero saltare la galleria di Serra San Quirico (Ancona) vi era stato costretto a forza di bastonate e colpi con il calcio del mitra ed infine, per ulteriore rifiuto, gettato nel fiume sottostante la montagna e creduto morto, si potesse credere che lui fosse un vigliacco.
Egli, in effetti, aveva da tempo fatta la scelta che la coscienza di Italiano gli aveva suggerito e le precedenti persecuzioni dei repubblichini lo possono dimostrare; ma il suo chiodo fisso era e restava quello di essere stato umiliato e costretto a fare ciò che non avrebbe mai voluto fare e quello di non essere piuttosto ammazzato subito, nonostante la voglia di vivere che aveva. A quei cinque Angeli venuti per tranquillizzarlo, lo disse con il poco fiato che ancora aveva, piangendo e con lui tutti noi. Poi, loro dissero ciò che lui aspettava per acquetarsi: che se tutti gli Italiani avessero agito come lui, forse molti di quei ragazzi che dopo l’8 settembre 1943 si erano arruolati per venire a liberare noi, non sarebbero morti. E fecero una cosa meravigliosa: spiegarono una bandiera tricolore che avevano con loro, gliela distesero sul suo corpo nel letto e si intrattennero ancora un po’.
Non avevamo niente da offrire loro, solo un po’ di vino di quel fiasco regalatoci da un Alpino alcuni giorni prima ……si era procurato. Lo offrimmo con tutto il cuore e con tutta la riconoscenza. Il giorno dopo, il 28 luglio 1944, mio fratello morì così come aveva detto ai nostri parenti che si era premurato di cercare, quel generoso tenente medico che lo aveva visitato.
Poi l’altro, unico ma incommensurabile riconoscimento che mio fratello ebbe: al suo funerale ‘eravate anche voi e su quella bara, che sembrava più una cassa per il trasporto di frutta che tale, metteste nuovamente il Tricolore. Inoltre, nonostante che il percorso da casa al Cimitero fosse ancora minato, credo che partecipò con voi, tutta Jesi, tanto era lunga la processione di gente dietro a quel carrettino a mano che lo trasportava là (i carri funebri erano stati rubati da fascisti per fuggire).
Scrivo e piango.
Piango perché esprimo questo ricordo che è sempre fisso nella mia mente e soprattutto perché finalmente posso ora dire grazie a Lei e per Suo tramite a tutti quei meravigliosi ragazzi che passarono per Jesi.” [4]
Il legame tra la popolazione ed il Corpo di Italiano di Liberazione in quei giorni difficili non poteva essere meglio espresso dal ricordo di quella che allora era una adolescente e che visse la sua vita in questo spirito.



[1] Fucile automatico berretta, MAB, il fucile in dotazione alle truppe d’assalto ed alla fanteria del Corpo Italiano di Liberazione, lì dove era disponibili.
[2] Gualdoni Francesco, Grazie Alpino per quel pane!, in La Gazzetta di Ancona, 20 luglio 1989
[3] L’articolo è una risposta in data 30 giugno 1984 ad un articolo di Sergio Pivetta pubblicato nel gennaio-febbraio 1984 su “L’Alpino”, mensile della Associazione Nazionale Alpini, in merito alla Liberazione di Jesi.
[4] Tralucci Fernanda, Era il 20 luglio 1944. In piazza Duomo siete arrivati Voi, i nostri salvatori. in L’Alpino, giugno 1984.

venerdì 4 ottobre 2019

La Liberazione di Jesi 20 luglio 1944 2


13.2.Quel che rimane: un nome inciso sulla pietra.
Come in tutte le cose di guerra, c’è sempre un costo da pagare in termini di feriti e di Caduti, che le relazioni ufficiali non riportano in quanto sono di entità minima ed il tempo poi cancella inesorabilmente. Nomi di ragazzi in piena gioventù scritti su una pietra di un monumento dimenticato e trascurato da tutti. Fra i tanti, scegliamo quello di Gianfranco Giorgi di Vistarino.
Gianfranco Giorgi di Vistarino, classe 1915, tenente di Artiglieria, ingegnere, sorpreso dall’armistizio in Montenegro, riuscì a raggiungere l’Italia attraverso gravissimi pericoli. Entrato nel raggruppamento, veniva in seguito assegnato ad una delle Brigate del Corpo Italiano di Liberazione quale interprete e ufficiale di collegamento. Aveva chiesto il trasferimento (accordatogli) all’11° reggimento artiglieria, durante il trasferimento si trovava, il giorno 19 luglio, in un fabbricato, quando un reparto di salmerie fu colpito dal fuoco tedesco che provocò diversi feriti. Mio fratello, uscito con altri in loro soccorso, fu investito da qualche scheggia di un colpo in arrivo, che gli procurò qualche ferita apparentemente non grave. La sera stessa ne fu informato il cap. Cicogna, il quale il girono successivo mi accompagnò all’Ospedale da Campo dove mio fratello era stato ricoverato. Lo trovai apparentemente bene, ma un medico mi informò che c’era il pericolo di una commozione viscerale che poteva avere esito mortale. La mattina del giorno dopo mio fratello mi confermò di sentirsi bene, ma tornato la sera mi accorsi subito che la situazione si era aggravata e che ogni speranza poteva considerarsi svanita. Nelle prime ore del 22 luglio spirò.”[1]  
Per contrastare l’oblio e per tenere vivo il ricordo e la memoria, ora che la generazione protagonista di questi eventi sta passando, sono state messe in atto iniziative atte ad integrare la funzione di queste “pietre”. Spiegare a chi è interessato attraverso sistemi divulgativi semplici il significato di queste pietre, non solo affidato agli Storici ed agli uomini di cultura. E’ nato il progetto “Le pietre parlano”, che con la buona volontà di tutti si spera di portare a termine[2]
Sergio Pivetta, riassume nel diario, i risvolti umani ed i sacrifici i quei giorni:
Domenica 23 luglio 1944, Ho incontrato Lenzi, della “Nembo”. A Belvedere, il “San Marco”, che già a Santa Maria Nuova aveva avuto una decina di morti, ha preso le sorbe. Continuano a giungere autoambulanze cariche di feriti. Molti i Caduti del 68° fanteria, al Musone. Moretti è tra di loro. Enrico Jallonghi è all’ospedale, ferito ad un occhio piuttosto seriamente, sembra. Una pallottola esplosiva, a quanto pare. Mimmo Genovesi è grave. Una pallottola al basso ventre. Sono stati colpiti, tutti e due, nei combattimenti di mercoledì scorso, 19 luglio, nei pressi del fiume Esino. Comincia a tirare brutto vento….Ecco il racconto di Enrico: “In marcia di avvicinamento, il XXIX battaglione bersaglieri stava scendendo lungo le colline marchigiane degradanti verso il fiume Esino. Erano le prime ore del pomeriggio, la mia compagnia si era appena fermata per effettuare una breve sosta, avevamo messo lo zaino a terra. Improvvisamente l’attacco. Ricevetti l’ordine di buttarmi con la squadra che comandavo, entro un vicino caseggiato e di sistemarlo a difesa, mentre le altre squadre si sparpagliavano organizzandosi tutto intorno. Piazzate alle finestre del primo piano le armi automatiche, diedi l’ordine di aprire il fuoco per controbattere quelle del nemico. Non essendo riuscito subito ad individuare la provenienza, salii quasi subito al piano superiore e, aperti i vetri di una finestra, cercai di scoprire, scrutando tra le fessure, da dove stavano sparando. Fu un attimo. Sentii un gran colpo, la mia testa fu presa in pieno dalla scheggia di una pallottola che, colpita una persiana, era esplosa. Caddi a terra. Persi per qualche attimo conoscenza.. Mi ripresi quasi subito. Era tutto buio, non vedevo più nulla. Sollevato dai compagni subito accorsi, venni portato nella cantina dove si era rifugiata l’intera famiglia che viveva nell’abitazione. Subito dopo i nostri reparti, sotto l’incalzare di un furioso fuoco nemico, furono costretti a ripiegare di circa tre chilometri. Rimasi solo tutta la notte, amorevolmente vegliato da quella cara, indimenticabile gente. In quelle condizioni, con i Tedeschi tutto intorno.. Sarebbero potuti entrare da un momento all’altro. Le ore non passavano mai.. Ma non vennero. Il mattino seguente, pressate dall’offensiva italiana, le truppe germaniche si ritirarono, i nostri ritornarono a prendermi e mi portarono all’ospedale civile di Jesi, dove ricevetti le prime cure. A Jesi, morente, c’era anche Mimmo Genovesi, ferito mentre combatteva con il suo plotone, poco distante dal mio, nella stessa azione”
……..
Lunedì 24 luglio 1944. Enrico Jallonghi perderà probabilmente l’occhio; Mimmo Genovesi è morto.” [3]
    
    Poche parole in un diario per indicare sacrifici ormai consegnati all’oblio del tempo.


[1] Testimonianza riportata dal fratello Edoardo Giorgi di Vistarino in Giorgi di Vistarino E., Cicogna Mozzoni A., Un generale scomodo. Umberto Utili, Roma, Edizioni Nuova Cultura, 2008, pag. 119 . Al ten. Gianfranco Giorgi di Vistarino fu conferita la medaglia di bronzo al valor militare con questa motivazione: “Ufficiale di artiglieria, sorpreso dall’Armistizio in Montenegro, riusciva a raggiungere il suolo patrio attraverso grandissimi pericoli. Entrato volontariamente a far parte del Corpo Italiano di Liberazione e destinato ad una grande unità, chiedeva insistentemente ed otteneva di essere assegnato ad un gruppo operativo in linea. Durante un violento tiro di artiglieria nemico, incurante del pericolo, usciva all’accantonamento per recare soccorso a militari feriti e veniva colpito da numerose schegge. Esempio di grande amore patrio, generoso ardimento ed altissimo senso del dovere”.
[2] Nei Documenti 4 e 5 sono riportati i dettagli di questo progetto, riferito al momento al Cippo di Casenuove e all’area dell’ex serra comunale, ad Osimo. Il primo per i Combattenti del Corpo Italiano di Liberazione, il secondo per i Caduti civili di Osimo.
[3] Pivetta S., Tutto per l’Italia. Diario di un alpino del battaglione “Piemonte”, cit, pag. 79