.“Grazie,
Alpino, per quel pane”.
La gratitudine della popolazione
per la liberazione dai Tedeschi e per la fine dei pericoli si manifesta in modo
spontaneo, ed aumenta quanto ci si accorge che a portare la libertà sono degli
Italiani, e non degli stranieri come ci si aspettava, e per giunta appartenenti
ad un Corpo estremamente popolare come quello degli Alpini. Francesco Gualdoni
così scrive, attingendo dai suoi ricordi:
“Grazie Alpino per quel pane!. Eri sui vent’anni ed io ne avevo appena
quindici. Ci incontrammo alle sei di mattina di quel 20 luglio 1944, in prossimità dello
“sporticello” di via Mura Occidentali, in una Jesi completamente deserta. Il
sibilo di qualche granata isolata e di uno Spitfire, su in alto, con attorno i
segni della contraerea che tirava dalle colline a
nord della città. Mi accorsi di averti fatto sbigottire perché tu,
Alpino, vedesti all’improvviso un viso macilento, due occhi guardinghi sotto i
capelli incolti, una canottiera più piccola dei buchi che si ritrovava, quel
ch’era rimasto dei pantaloni corti, uno spago per degnissima cinta, e le
Timberland di allora, la pelle dei piedi. Risalivo le scalette a quattro zampe,
sfinito dalla fame e dalle lunghe veglie. Ero uscito dalle cantine del civico 4
di via dell’Orfanatrofio, dove le donne, rosario in mano, attingevano piangendo
la fine di tutto. Ma anche il tuo “look” non era migliore del mio, il cappello
con mezza penna (forse una “raffica”?) calato sugli occhi, la divisa “Kaki” che
avrebbe richiesto abbondanti lavaggi e rattoppi. Procedevi con circospezione,
rasente al muro, il MAB[1]
spianato e pronto a far fuoco. Mi chiedesti se la Wehrmacht se n’era andata ed
io, annuendo, avevo ancora negli orecchi il gran botto del cavalcavia del viale
della Vittoria, ridotto in briciole in quella notte più lunga del solito, poco
dopo che i guastatori in ritirata erano passati a dar voce sulla porta del
rifugio: "Alles kaputt, achtung, saltare ponte!”.
Mi passasti un pezzo di pane, di un bianco che non avevo mai visto e mi
desti il bene assoluto della libertà, di cui spesso sperimentiamo la formula
con pessimo uso. Non feci nemmeno in tempo a dirti grazie. Mi sdebito oggi, con
45 anni di ritardo. Scusami, Alpino del battaglione “Piemonte” ma sberle e
sberleffi della vita mi hanno insegnato che l’eternità del tempo si può anche misurare
a secondi” [2]
[1] Fucile
automatico berretta, MAB, il fucile in dotazione alle truppe d’assalto ed alla
fanteria del Corpo Italiano di Liberazione, lì dove era disponibili.
[2] Gualdoni
Francesco, Grazie Alpino per quel pane!, in
La Gazzetta di Ancona, 20 luglio 1989
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