Le Brigate di fanteria "marchigiane": Marche, Ancona, Macerata, Pesaro, Piceno

Le Brigate di fanteria "marchigiane": Marche, Ancona, Macerata, Pesaro, Piceno
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venerdì 20 giugno 2025

Gli Ebrei in Ancona e nelle marche. Cenni.

 

L’epoca precisa in cui nell'antichità i primi ebrei presero stabile dimora ad Ancona, non possiamo affermarla con certezza. Potremmo supp01Te comunque che, dati i secolari contatti commerciali della città con i lontani Paesi del Mediterraneo orientale, alcuni mercanti ebrei di quei luoghi fossero approdati nel porto di Ancona per effettuarvi scambi di merci varie e che alcuni di essi vi si siano addirittura rifugiati fin dall'epoca della distruzione di Gerusalemme, voluta da Tito Flavio Vespasiano nell'anno 70 d.C. Risulta, comunque, che piccole comunità ebraiche erano già presenti da lungo tempo in varie località del te1Tit01io italiano, specialmente nel meridione. Sembra addirittura che a Roma la presenza di ebrei risalga al II secolo a.C. e cioè quando Giuda Maccabeo attinse alleanza con i romani stessi. Tornando ad Ancona, la presenza nella nostra città dei primi ebrei viene collocata dalla Sacerdoti[1] presumibilmente prima dell’anno 1000. Se invece dobbiamo attenerci a documentazioni certe, risulta che la presenza ebraica ad Ancona e nelle Marche in genere, viene fatta risalire ad epoca relativamente tarda. Abbiamo infatti notizie sc1itte della presenza di comunità ebraiche nel territorio di Montegiorgio nei primi decenni del 1200, ove queste comunità vi esercitavano l'industria del lino, della lana e della concia delle pelli. Sempre nella stessa epoca, troviamo comunità ebraiche a Camerino, Pesaro e Recanati[2].

Ad Ancona, sappiamo per certo, infine, che gli ebrei avevano una loro comunità nella seconda metà del sec. XIII e precisamente nell'anno 1269. Infatti, un'elegia composta in occasione di un forte terremoto che investì Ancona, veniva recitata dagli ebrei di Ancona nella loro sinagoga[3]. Detta elegia, può essere considerata come la più antica testimonianza scritta esistente sulla presenza degli ebrei ad Ancona; essa si trova conservata, secondo il Rosenberg, nella Biblioteca Palatina di Parma.

Se vi era dunque una comunità ebraica, con relativa sinagoga, già nel 1269, ciò significa che gli ebrei si trovavano certamente ad Ancona in epoca precedente quella data.

Col passare degli anni, la comunità ebraica anconitana aumentò considerevolmente di numero e già nel 1300 era seconda solo a quella di Roma. Data la consistenza numerica non indifferente degli ebrei nel suo territorio, Ancona si vantava pe1fino di essere una delle p1incipali sedi rabbiniche d'Italia.

Dalla seconda metà del sec. XV, affluivano poi in grande numero i profughi coinvolti dalle grandi espulsioni decretate dal Portogallo e dalla Spagna ed anche quelli provenienti dalle zone dell'Italia meridionale.

Quando, nel 1532, la Chiesa sottomise Ancona al suo dominio, la città fu l'unica, con Roma, in cui gli ebrei vi potevano rimanere indisturbati e fu in quell'epoca che venne istituito il Ghetto, onde riunirli ed alloggiarli in un'area ben circoscritta, pur lasciandoli libe1i di esercitare il loro mestiere ovunque. Ma non passò molto tempo che gli ebrei ad Ancona conobbero un periodo di vita assai travagliato. Se si eccettua il regno di Paolo III, il quale protesse gli ebrei e ne incoraggiò perfino lo stanziamento, e anche del papa Giulio III, che confermò le bolle e previlegi del suo predecessore, il periodo più sofferto fu quello sotto il papato di Paolo IV, Gian Pietro Caraffa, ex Arcivescovo di Napoli e poi capo dell'Inquisizione.

Questo Pontefice, a dire il vero, appena salito al soglio dimostrò di essere benigno verso gli ebrei, ma ben presto emanò ordini severissimi contro di loro: gli ebrei vennero rinchiusi nel Ghetto, che fu munito di un solo ingresso e di una sola uscita; dovevano portare un segno di colore giallo al cappello; dovevano vendere tutte le loro merci nel giro di soli 10 giorni; non dovevano tenere né servi né bàlie; gli stabili ed i rustici di loro proprietà dovevano essere venduti entro sei mesi ed infine, non dovevano intraprendere nessuno studio, salvo l'arte medica, che però doveva essere esercitata verso loro stessi.

Inoltre, ad aggravare vieppiù le cose, nel 1556, venticinque marrani di origine portoghese, avendo 1ifiutato di rinnegare la loro fede, furono impiccati e i loro corpi bruciati in località Campo della Mostra, l'attuale Piazza Malatesta; fra loro vi era pure una donna, tale Donna Miora, detta la Prudente[4]. Questo tragico evento scosse profondamente le comunità ebraiche di tutta l'area del Mediterraneo, che si mobilitarono per la difesa dei loro c01religionaii perseguitati; fu deciso di boicottare le relazioni commerciali con il p01to di Ancona ed ottennero anche l'adesione del sultano turco Ottomano il Magnifico; tutto il traffico controllato dagli ebrei venne dirottato nel vicino porto di Pesaro. Questo sollevamento in massa ebbe la durata di ben due anni e fu da tutti considerato come il primo gesto di difesa degli ebrei contro lo strapotere esercitato dal papato di allora.

Tale periodo storico fu in sostanza il più sofferto per tutti gli ebrei di Ancona.

In epoca successiva, si ebbe una relativa tranquillità. Nel 1586, il Papa Sisto V, il marchigiano di Grottammare, Felice Peretti, con editto del 22 ottobre permise agli ebrei di abitare finalmente in ogni città dello Stato Ecclesiastico, lasciandoli liberi di praticare il loro culto nelle scuole e sinagoghe in loro possesso e persino decretò l'abolizione del segno distintivo voluto allora da Paolo IV.

A seguito di tali libertà, gli ebrei anconitani uscirono ben presto dallo squallore e si portarono ovunque a mercanteggiare; di contro parecchi loro c01Teligionari di altre città si trasferirono ad Ancona, aumentando così notevolmente il numero delle presenze in città a tal punto che, dopo due anni, e precisamente nel 1588 bisognò allargare l'area del Ghetto.

Nel 1595, Clemente VIII, avendo constatato l'enorme vantaggio derivante allo Stato della Chiesa dal fl01ido commercio degli ebrei, concesse la franchigia al porto di Ancona, autorizzò la Università dei Mercanti ad istituire un loro consolato e concesse agli ebrei stessi di poter godere di tutte le agevolazioni avute ai tempi di Paolo III.

Allorché Papa Clemente venne ad Ancona, nell'aprile del 1598, “le nazioni ebraica italiana e levantina” - scrisse il Saracini[5] - “che hanno in essa città le loro scole, o sinagoghe separate, per la strada suddetta larga di Capo di Monte e in quel sito di essa di S. Marco, con li loro abiti senza cappello gli italiani e turbante li levantini in testa, tutti genuflessi e in grandissima quantità rive1irono e adorarono il Papa”.

In questo modo gli ebrei di Ancona vollero dimostrare al Papa la loro riconoscenza per le riconquistate libertà.

Altro periodo nero sopravvenne nel 1659, quando Papa Alessandro VII, il senese Fabio Chigi, decretò che gli ebrei non dovessero tenere “botteghe, fondachi, magazzeni o rimesse fuori del Ghetto”; era vietato “pernottare fumi del Ghetto” dove ciascuno doveva rientrare “non più tardi dell'una di notte e la mattina non poteva uscirne prima del giorno” sotto pena di “scudi 50 e tre tratti di corda in pubblico gli uomini e dalla frusta le donne”.

Dopo un lungo periodo di vicende tristi e meno tristi, arriviamo agli ultimi anni del secolo XVIII e precisamente nel 1785. In quell'anno si verificò nel Ghetto di Ancona una sommossa popolare che qui ci piace ricordare: alcuni ebrei di povera condizione, che erano sistemati in abitazioni malsane ed anguste, protestarono vivacemente contro quei loro correligionari che, al contrario, occupavano case confortevoli e spaziose, per di più composte da numerosissime stanze e usufruivano perfino del diritto di pagare canoni bassissimi; ciò a causa dell'antica istituzione del “Jus Cazacà” istituzione che pe1metteva loro di poter riaffittare a terzi anche patte di queste grandi abitazioni, ricavandoci introiti assai esosi. A seguito di tale fo1te malcontento dei ceti poveri residenti nel Ghetto, l'autorità ecclesiastica, a cui si rivolsero con ripetute petizioni, fu costretta ad intervenire nella vertenza e fu quindi concesso di allargare l'area del Ghetto verso la zona alta di Capodimonte acquistando alcune case di cristiani, per poi riaffittarle ai più poveri. Nel 1793, accadde un altro fatto increscioso, che provocò una vera e propria insurrezione popolare contro gli ebrei di Ancona.

Infatti, un ricco ebreo, Sanson Costantini, proprietario di una casa prospiciente la Chiesa della SS. Annunziata, nell'attuale via Podesti, aveva fatto togliere dalla facciata di detta casa una statuetta della Madonna e l'aveva fatta collocare, a sue spese, nel palazzo comunale. Tale atto irritò enormemente un forte gruppo di popolani, la maggior parte facchini e marinai che, rimossa la statua dalla sede comunale, volle riportarla in solenne processione alla p1imitiva collocazione[6].

E così, dopo poco tempo, la comunità israelitica di Ancona, che alla fine del 700 contava ben 1400 anime, si apprestava ad accogliere la venuta di Napoleone Bonaparte in Italia.

Quando il 10 Febbraio 1797 giunse ad Ancona, il Generale Bonaparte soppresse ogni antica istituzione, compresa la S. Inquisizione; emanò un’ordinanza in cui all’articolo primo decretò che la città di Ancona doveva essere amministrata da una Municipalità composta da quindici memb1i e all'articolo tredicesimo si fissavano i nominativi dei componenti tale Municipalità. Fra essi vi erano compresi ben tre cittadini ebrei: Sanson Costantini, di cui abbiamo parlato sopra, David Morpurgo ed Ezechia Morpurgo, ricchi esponenti dell'economia cittadina. Ezechia Morpurgo divenne poi Tribuno del Dipartimento del Clitumno e in seguito fu anche nominato Senatore della Repubblica Romana del 1798.

Uno dei primi atti della Municipalità, fu quello di rimuovere i cancelli del Ghetto e di lasciar liberi tutti gli ebrei di abitare ed esercitare i loro mestieri in qualsiasi luogo della città. Purtroppo, questo aureo periodo, che veniva salutato dagli ebrei di Ancona con manifestazioni di giubilo, doveva cessare dopo poco tempo. Infatti, ripristinato il potere della Chiesa, il Cardinale Annibale Sermattei della Genga, salito al trono col nome di Leone XII nel 1823, mise in uso tutte le proibizioni di alcuni suoi predecessori: furono ricollocati i cancelli al Ghetto; gli ebrei dovevano rientrare alle loro vecchie abitazioni nel recinto del Ghetto stesso; era loro vietato pernottare fumi di detto recinto; furono ripristinati gli antichi tributi.

Con le rivoluzioni del 1831 e del 1848, gli ebrei anconitani riassaporarono ancora le bramate libertà, sebbene non completamente come speravano. Ma finalmente, con la liberazione delle Marche da parte delle truppe piemontesi e la successiva annessione di Ancona al regno d'Italia nel 1860, fu suggellata la completa e stabile emancipazione israelitica.

I periodi successivi, dalla prima Gue1rn mondiale, dove molti ebrei anconitani si distinsero per esemplare patriottismo, al periodo della dittatura fascista e nella seconda Guerra Mondiale, ove non pochi nostri concittadini ebrei patirono sofferenze e umiliazioni, lasciando, alcuni di essi, la vita nei campi di sterminio tedeschi, rientrano ormai nella storia moderna.



[1] Annie Sacerdoti. Guida all'Italia ebraica. Genova, 1986.

[2] Rosenberg H. Cenni biografici di alcuni Rabbini e letterati della comunità israelitica di Ancona. Casale Monferrato, 1932, pag. VI.

[3] Laras G. Una composizione poetica del sec. XIII per un terremoto ad Ancona, Rassegna mensile di Israele, XXXIX (1973).

[4] Feroso G. Gli ebrei portoghesi giustiziati in Ancona sotto Paolo IV, Foligno, 1884, pag. 7.

[5] Saracini Giuliano. Notitie Historiche della città d'Ancona, Roma, 1675, pag. 402.

[6] Albertini Camilla. Storia di Ancona, Libro XIII, parte seconda, pagg. da 193 a 198.

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