Le Brigate di fanteria "marchigiane": Marche, Ancona, Macerata, Pesaro, Piceno

Le Brigate di fanteria "marchigiane": Marche, Ancona, Macerata, Pesaro, Piceno
Le Marche e la Grande Guerra. Il volume è disponibile in tutte le librerie. Si può ordinare alla Casa Editrice, (ordini@nuovacultura.it). Node su www.storiainlaboratorio.blogspot.com

venerdì 4 ottobre 2019

La Liberazione di Jesi 20 luglio 1944 2


13.2.Quel che rimane: un nome inciso sulla pietra.
Come in tutte le cose di guerra, c’è sempre un costo da pagare in termini di feriti e di Caduti, che le relazioni ufficiali non riportano in quanto sono di entità minima ed il tempo poi cancella inesorabilmente. Nomi di ragazzi in piena gioventù scritti su una pietra di un monumento dimenticato e trascurato da tutti. Fra i tanti, scegliamo quello di Gianfranco Giorgi di Vistarino.
Gianfranco Giorgi di Vistarino, classe 1915, tenente di Artiglieria, ingegnere, sorpreso dall’armistizio in Montenegro, riuscì a raggiungere l’Italia attraverso gravissimi pericoli. Entrato nel raggruppamento, veniva in seguito assegnato ad una delle Brigate del Corpo Italiano di Liberazione quale interprete e ufficiale di collegamento. Aveva chiesto il trasferimento (accordatogli) all’11° reggimento artiglieria, durante il trasferimento si trovava, il giorno 19 luglio, in un fabbricato, quando un reparto di salmerie fu colpito dal fuoco tedesco che provocò diversi feriti. Mio fratello, uscito con altri in loro soccorso, fu investito da qualche scheggia di un colpo in arrivo, che gli procurò qualche ferita apparentemente non grave. La sera stessa ne fu informato il cap. Cicogna, il quale il girono successivo mi accompagnò all’Ospedale da Campo dove mio fratello era stato ricoverato. Lo trovai apparentemente bene, ma un medico mi informò che c’era il pericolo di una commozione viscerale che poteva avere esito mortale. La mattina del giorno dopo mio fratello mi confermò di sentirsi bene, ma tornato la sera mi accorsi subito che la situazione si era aggravata e che ogni speranza poteva considerarsi svanita. Nelle prime ore del 22 luglio spirò.”[1]  
Per contrastare l’oblio e per tenere vivo il ricordo e la memoria, ora che la generazione protagonista di questi eventi sta passando, sono state messe in atto iniziative atte ad integrare la funzione di queste “pietre”. Spiegare a chi è interessato attraverso sistemi divulgativi semplici il significato di queste pietre, non solo affidato agli Storici ed agli uomini di cultura. E’ nato il progetto “Le pietre parlano”, che con la buona volontà di tutti si spera di portare a termine[2]
Sergio Pivetta, riassume nel diario, i risvolti umani ed i sacrifici i quei giorni:
Domenica 23 luglio 1944, Ho incontrato Lenzi, della “Nembo”. A Belvedere, il “San Marco”, che già a Santa Maria Nuova aveva avuto una decina di morti, ha preso le sorbe. Continuano a giungere autoambulanze cariche di feriti. Molti i Caduti del 68° fanteria, al Musone. Moretti è tra di loro. Enrico Jallonghi è all’ospedale, ferito ad un occhio piuttosto seriamente, sembra. Una pallottola esplosiva, a quanto pare. Mimmo Genovesi è grave. Una pallottola al basso ventre. Sono stati colpiti, tutti e due, nei combattimenti di mercoledì scorso, 19 luglio, nei pressi del fiume Esino. Comincia a tirare brutto vento….Ecco il racconto di Enrico: “In marcia di avvicinamento, il XXIX battaglione bersaglieri stava scendendo lungo le colline marchigiane degradanti verso il fiume Esino. Erano le prime ore del pomeriggio, la mia compagnia si era appena fermata per effettuare una breve sosta, avevamo messo lo zaino a terra. Improvvisamente l’attacco. Ricevetti l’ordine di buttarmi con la squadra che comandavo, entro un vicino caseggiato e di sistemarlo a difesa, mentre le altre squadre si sparpagliavano organizzandosi tutto intorno. Piazzate alle finestre del primo piano le armi automatiche, diedi l’ordine di aprire il fuoco per controbattere quelle del nemico. Non essendo riuscito subito ad individuare la provenienza, salii quasi subito al piano superiore e, aperti i vetri di una finestra, cercai di scoprire, scrutando tra le fessure, da dove stavano sparando. Fu un attimo. Sentii un gran colpo, la mia testa fu presa in pieno dalla scheggia di una pallottola che, colpita una persiana, era esplosa. Caddi a terra. Persi per qualche attimo conoscenza.. Mi ripresi quasi subito. Era tutto buio, non vedevo più nulla. Sollevato dai compagni subito accorsi, venni portato nella cantina dove si era rifugiata l’intera famiglia che viveva nell’abitazione. Subito dopo i nostri reparti, sotto l’incalzare di un furioso fuoco nemico, furono costretti a ripiegare di circa tre chilometri. Rimasi solo tutta la notte, amorevolmente vegliato da quella cara, indimenticabile gente. In quelle condizioni, con i Tedeschi tutto intorno.. Sarebbero potuti entrare da un momento all’altro. Le ore non passavano mai.. Ma non vennero. Il mattino seguente, pressate dall’offensiva italiana, le truppe germaniche si ritirarono, i nostri ritornarono a prendermi e mi portarono all’ospedale civile di Jesi, dove ricevetti le prime cure. A Jesi, morente, c’era anche Mimmo Genovesi, ferito mentre combatteva con il suo plotone, poco distante dal mio, nella stessa azione”
……..
Lunedì 24 luglio 1944. Enrico Jallonghi perderà probabilmente l’occhio; Mimmo Genovesi è morto.” [3]
    
    Poche parole in un diario per indicare sacrifici ormai consegnati all’oblio del tempo.


[1] Testimonianza riportata dal fratello Edoardo Giorgi di Vistarino in Giorgi di Vistarino E., Cicogna Mozzoni A., Un generale scomodo. Umberto Utili, Roma, Edizioni Nuova Cultura, 2008, pag. 119 . Al ten. Gianfranco Giorgi di Vistarino fu conferita la medaglia di bronzo al valor militare con questa motivazione: “Ufficiale di artiglieria, sorpreso dall’Armistizio in Montenegro, riusciva a raggiungere il suolo patrio attraverso grandissimi pericoli. Entrato volontariamente a far parte del Corpo Italiano di Liberazione e destinato ad una grande unità, chiedeva insistentemente ed otteneva di essere assegnato ad un gruppo operativo in linea. Durante un violento tiro di artiglieria nemico, incurante del pericolo, usciva all’accantonamento per recare soccorso a militari feriti e veniva colpito da numerose schegge. Esempio di grande amore patrio, generoso ardimento ed altissimo senso del dovere”.
[2] Nei Documenti 4 e 5 sono riportati i dettagli di questo progetto, riferito al momento al Cippo di Casenuove e all’area dell’ex serra comunale, ad Osimo. Il primo per i Combattenti del Corpo Italiano di Liberazione, il secondo per i Caduti civili di Osimo.
[3] Pivetta S., Tutto per l’Italia. Diario di un alpino del battaglione “Piemonte”, cit, pag. 79

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