13.2.Quel
che rimane: un nome inciso sulla pietra.
Come in tutte le cose di guerra,
c’è sempre un costo da pagare in termini di feriti e di Caduti, che le
relazioni ufficiali non riportano in quanto sono di entità minima ed il tempo
poi cancella inesorabilmente. Nomi di ragazzi in piena gioventù scritti su una
pietra di un monumento dimenticato e trascurato da tutti. Fra i tanti,
scegliamo quello di Gianfranco Giorgi di Vistarino.
“Gianfranco Giorgi di Vistarino, classe 1915, tenente di Artiglieria,
ingegnere, sorpreso dall’armistizio in Montenegro, riuscì a raggiungere
l’Italia attraverso gravissimi pericoli. Entrato nel raggruppamento, veniva in
seguito assegnato ad una delle Brigate del Corpo Italiano di Liberazione quale
interprete e ufficiale di collegamento. Aveva chiesto il trasferimento
(accordatogli) all’11° reggimento artiglieria, durante il trasferimento si
trovava, il giorno 19 luglio, in un fabbricato, quando un reparto di salmerie
fu colpito dal fuoco tedesco che provocò diversi feriti. Mio fratello, uscito
con altri in loro soccorso, fu investito da qualche scheggia di un colpo in
arrivo, che gli procurò qualche ferita apparentemente non grave. La sera stessa
ne fu informato il cap. Cicogna, il quale il girono successivo mi accompagnò
all’Ospedale da Campo dove mio fratello era stato ricoverato. Lo trovai
apparentemente bene, ma un medico mi informò che c’era il pericolo di una commozione
viscerale che poteva avere esito mortale. La mattina del giorno dopo mio
fratello mi confermò di sentirsi bene, ma tornato la sera mi accorsi subito che
la situazione si era aggravata e che ogni speranza poteva considerarsi svanita.
Nelle prime ore del 22 luglio spirò.”[1]
Per contrastare l’oblio e per
tenere vivo il ricordo e la memoria, ora che la generazione protagonista di
questi eventi sta passando, sono state messe in atto iniziative atte ad
integrare la funzione di queste “pietre”. Spiegare a chi è interessato
attraverso sistemi divulgativi semplici il significato di queste pietre, non
solo affidato agli Storici ed agli uomini di cultura. E’ nato il progetto “Le
pietre parlano”, che con la buona volontà di tutti si spera di portare a
termine[2]
Sergio Pivetta, riassume nel
diario, i risvolti umani ed i sacrifici i quei giorni:
“Domenica 23 luglio 1944, Ho incontrato Lenzi, della “Nembo”. A
Belvedere, il “San Marco”, che già a Santa Maria Nuova aveva avuto una decina
di morti, ha preso le sorbe. Continuano a giungere autoambulanze cariche di
feriti. Molti i Caduti del 68° fanteria, al Musone. Moretti è tra di loro.
Enrico Jallonghi è all’ospedale, ferito ad un occhio piuttosto seriamente,
sembra. Una pallottola esplosiva, a quanto pare. Mimmo Genovesi è grave. Una
pallottola al basso ventre. Sono stati colpiti, tutti e due, nei combattimenti
di mercoledì scorso, 19 luglio, nei pressi del fiume Esino. Comincia a tirare
brutto vento….Ecco il racconto di Enrico: “In marcia di avvicinamento, il XXIX
battaglione bersaglieri stava scendendo lungo le colline marchigiane degradanti
verso il fiume Esino. Erano le prime ore del pomeriggio, la mia compagnia si
era appena fermata per effettuare una breve sosta, avevamo messo lo zaino a
terra. Improvvisamente l’attacco. Ricevetti l’ordine di buttarmi con la squadra
che comandavo, entro un vicino caseggiato e di sistemarlo a difesa, mentre le
altre squadre si sparpagliavano organizzandosi tutto intorno. Piazzate alle
finestre del primo piano le armi automatiche, diedi l’ordine di aprire il fuoco
per controbattere quelle del nemico. Non essendo riuscito subito ad individuare
la provenienza, salii quasi subito al piano superiore e, aperti i vetri di una
finestra, cercai di scoprire, scrutando tra le fessure, da dove stavano
sparando. Fu un attimo. Sentii un gran colpo, la mia testa fu presa in pieno
dalla scheggia di una pallottola che, colpita una persiana, era esplosa. Caddi
a terra. Persi per qualche attimo conoscenza.. Mi ripresi quasi subito. Era
tutto buio, non vedevo più nulla. Sollevato dai compagni subito accorsi, venni
portato nella cantina dove si era rifugiata l’intera famiglia che viveva
nell’abitazione. Subito dopo i nostri reparti, sotto l’incalzare di un furioso
fuoco nemico, furono costretti a ripiegare di circa tre chilometri. Rimasi solo
tutta la notte, amorevolmente vegliato da quella cara, indimenticabile gente.
In quelle condizioni, con i Tedeschi tutto intorno.. Sarebbero potuti entrare
da un momento all’altro. Le ore non passavano mai.. Ma non vennero. Il mattino
seguente, pressate dall’offensiva italiana, le truppe germaniche si ritirarono,
i nostri ritornarono a prendermi e mi portarono all’ospedale civile di Jesi,
dove ricevetti le prime cure. A Jesi, morente, c’era anche Mimmo Genovesi,
ferito mentre combatteva con il suo plotone, poco distante dal mio, nella
stessa azione”
……..
Lunedì 24 luglio 1944. Enrico Jallonghi perderà probabilmente l’occhio;
Mimmo Genovesi è morto.” [3]
Poche parole in un
diario per indicare sacrifici ormai consegnati all’oblio del tempo.
[1]
Testimonianza riportata dal fratello Edoardo Giorgi di Vistarino in Giorgi di
Vistarino E., Cicogna Mozzoni A., Un
generale scomodo. Umberto Utili, Roma, Edizioni Nuova Cultura, 2008, pag.
119 . Al ten. Gianfranco Giorgi di Vistarino fu conferita la medaglia di bronzo
al valor militare con questa motivazione: “Ufficiale
di artiglieria, sorpreso dall’Armistizio in Montenegro, riusciva a raggiungere
il suolo patrio attraverso grandissimi pericoli. Entrato volontariamente a far
parte del Corpo Italiano di Liberazione e destinato ad una grande unità,
chiedeva insistentemente ed otteneva di essere assegnato ad un gruppo operativo
in linea. Durante un violento tiro di artiglieria nemico, incurante del
pericolo, usciva all’accantonamento per recare soccorso a militari feriti e
veniva colpito da numerose schegge. Esempio di grande amore patrio, generoso
ardimento ed altissimo senso del dovere”.
[2] Nei
Documenti 4 e 5 sono riportati i dettagli di questo progetto, riferito al
momento al Cippo di Casenuove e all’area dell’ex serra comunale, ad Osimo. Il
primo per i Combattenti del Corpo Italiano di Liberazione, il secondo per i
Caduti civili di Osimo.
[3] Pivetta
S., Tutto per l’Italia. Diario di un
alpino del battaglione “Piemonte”, cit, pag. 79
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