Le Brigate di fanteria "marchigiane": Marche, Ancona, Macerata, Pesaro, Piceno

Le Brigate di fanteria "marchigiane": Marche, Ancona, Macerata, Pesaro, Piceno
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martedì 24 settembre 2019

Jesi. I Suoi rivolti nella storia militare recente






Posta a ridosso immediato di Ancona, piazzaforte marittima del medio Adriatico, Jesi all’inizio del novecento per questa sua posizione vedeva nascere il suo ruolo militare che durò fino al 1947, ovvero all’indomani della fine della seconda guerra mondiale.
Questo ruolo si sviluppò in relazione al concomitante sviluppo del mezzo aereo, che, ai primi del novecento, era ai primi passi; ancora non ci si dibatteva se era più conveniente il “più leggero dell’aria”, ovvero quello che sarà chiamato Dirigibile o Aeronave, o il più pesante dell’aria”, ovvero l’aereo vero e proprio, con carlinga, ali motore e timone; entrambi fornivano al tempo vantaggi e svantaggi, in un equilibrio che fu risolto solo a metà degli anni trenta ( spedizione in Artide del Dirigibile “Italia” e naufragio dello Zeppelin in appontaggio nel 1939 a New York).
Jesi, in questo contesto, fu uno dei principali aeroporti per Dirigibili dell’inizio del novecento.
Il primo aeroporto nelle Marche fu quello di Senigallia, nel quale il pilota jesino Riccardo Ponselli si esercitava con altri piloti, il pergolese Giulio Brilli Cattarini e Muzio Gallo di Osimo. L’hangar di Senigallia era di modeste proporzioni e ospitava tre piccoli velivoli. A causa di un incendio venne distrutto, le fiamme incendiarono anche i tre velivoli. Nell’agosto del 1911, prima dello scoppio della guerra Italo Turca in un rapporto segreto inviato dallo Stato Maggiore della Regia Marina al Ministero della Guerra, si dichiarava che per sorvegliare l’Adriatico e garantire l’esplorazione sicura del mare sarebbe tornato utile l’impiego dei Dirigibili. Allo scopo vennero scelte tre zone strategiche nelle quali realizzare altrettanti aeroscali: a Venezia (Alto Adriatico) a Jesi (Centro Adriatico) e a Taranto o Brindisi (Basso Adriatico). Per la scelta dell’area destinata alla costruzione di un aeroscalo per dirigibili, venne inviato a Jesi il capitano De Cristoforo. La scelta dell’area cadde in parte della zona dell’attuale ZIPA. L’Aeroscalo jesino, costruito nel 1913, era un aeroscalo dell’Aviazione della Regia Marina in quanto al tempo le due forze Armate, Esercito e Marina,  avevano la propria aviazione; consisteva in un enorme capannone di ferro, il vero proprio hangar, ed in varie palazzine e strutture minori, ed era in sistema e  collegamento con il Comando Marittimo del Medio Adriatico di Ancona ed il Comando del VII Corpo d’Armata territoriale. L’aeroscalo nel 1914 e 1915 si sviluppò ospitando Dirigibili.

Impiegati con successo i Dirigibili in Libia, con le esperienze di questa guerra, si costruirono i dirigibili della classe “M” più grandi e più potenti di quelli della serie precedente, I nuovi dirigibili erano destinati a compiere ricognizioni in profondità e bombardamento a grande distanza. Si costruirono anche altri tipi chiamati “V” (Veloci) e “P” (Pesanti) ed i citati “M” (Medi). I Dirigibili Medi avevano queste caratteristiche: 12.000 metri cubi 2 motori velocita 60km, 10 ore di autonomia; 600 Kg. Di portata a 2800 metri di quota. Per quel tempo (1913) erano dati estremamente significativi.
I più famosi dirigibili di questa serie, con cui affrontammo l’inizio della Grande Guerra, furono il “Città di Jesi”, che aveva la sua sede all’aeroscalo di Ferrara, ed il “Città di Ferrara” che aveva la sua sede all’aeroscalo di Jesi. Il Dirigibile  “M”, a cui fu imposto  il nome “Citta di Jesi”, “in onore della città delle Marche che ospitava il secondo aeroscalo per dirigibili della Marina”, iniziò le prove di collaudo a Vigna di Valle, ma dovendosi completare ulteriori prove, fu trasportato per ferrovia a Ferrara, mentre il Dirigibile “M” “Citta di Ferrara”  al comando del tenente di vascello Castruccio Castracani si trasferiva all’aeroscalo di Jesi. Il 29 Maggio 1915, nella sala consiliare del Comune di Jesi si svolse una solenne cerimonia durante la quale venne consegnata alla Regia Marina la bandiera di combattimento dell’aeronave “Città di Jesi” nelle mani del Tenente di Vascello Castrucci Castracani degli Anterlminellli e del tenente di Vascello Carlo Barzagli. La cerimonia è ricordata in una pergamena tutt’oggi conservata presso la Biblioteca Comunale di Jesi, ove si possono leggere chiaramente le firme dei due ufficiali di Marina, del Sindaco, Avvocato Giuseppe Abbruzzetti, del Vescovo, mons. Giuseppe Gandolfi e della Presidentessa del Comitato promotore della iniziativa, Marchesa Erminia Saronni Honorati,
Sotto il profilo operativo, Jesi, con Ancona, vanta il triste primato di essere state le prime città italiane attaccate, nella Grande guerra, dal mare e dall’aria da parte del nemico austro-ungarico. Come noto la flotta austriaca la prima notte di guerra, ovvero all’alba del 24 maggio 1915 si presentò davanti alla coste romagnole e marchigiane e bombardò Porto Corsini, Rimini, Pesaro, Senigallia ed Ancona. Il bombardamento costò alla città dorica oltre 67 morti e diverse centinaia di feriti. Idrovolanti della Marina Austriaca, sorvolando la loro flotta, proseguirono oltre Ancona, che non  fu bombardata dall’aria, e proseguirono per Jesi, lasciando cadere sull’Hangar diverse bombe, ma non ci furono vittime, ma solo un incendio che presto fu domato.
Si può dire che Jesi fu la prima città italiana bombardata dall’aria nel Corso della Grande Guerra.
Gli idrovolanti austriaci erano alla ricerca del “Città di Ferrara” che aveva lasciato Jesi  poche ore prima della Mezzanotte del 23 maggio 1915 per la sua prima missione di guerra: bombardare Pola e le sue installazioni militari. Lo stesso per il “Città di Jesi” che lasciata Ferrara stava operando anche lui verso la costa Istriana. I due Dirigibili erano in pinea attività operativa ma ben presto ci si accorse che questo mezzo non era in grado di svolgere il ruolo di bombardamento che veniva loro richiesto per la loro vulnerabilità. Infatti il loro ciclo operativo non durò più di qualche mese. Il 7 giugno 1915 il “Città di Ferrara” lascia per l’ultima volta l’aeroscalo di Jesi per una missioni di bombardamento sulla città di Fiume, con l’obiettivo di bombardare gli stabilimenti della Whitehead ed i cantieri “Danubisi”, che riesce. Notevoli i danni arrecati, sembra che l’azione di bombardamento strategico sia riuscita. Sulla rotta di ritorno, all’altezza dell’Isola di Veglia, il dirigibile è fatto segno a intenso fuoco di fucileria e mitragliatrici. Colpito in più parti, è costretto ad ammarare. Con l’impatto con l’acqua l’involucro prende fuoco; periscono un ufficiale ed un meccanico; il comandante Castracane e l’equipaggio vengono, salvati e fatti prigionieri da un cacciatorpediniere austriaco.
Stessa sorte toccò al “Città di Jesi” al comando del ten. di vascello Bruno Brivonesi. Nella notte tra il 4 e 5 agosto 1915, con la missione di bombardare i cantieri navali di Pola il “Città di Jesi” nella rotta di avvicinamento, a 2800 metri viene inquadrato dalle fotoelettriche austriache e fatto segno ad intenso fuoco di fucileria e di contraerea. Viene colpito nella zona poppiera e vi è una fuga di gas, che costringe il dirigibile ad ammarare. L’equipaggio viene salvato da una motobarca austriaca e fatto prigioniero. Prima di cadere prigioniero il comandante Brivonesi riesce ad affondare la bandiera di combattimento donata dalla cittadinanza di Jesi.
Con la perdita del “Citta di Jesi” e del “Citta di Ferrara” termina la fase di bombardamento strategico in profondità ad opera dei dirigibili La Regia Marina ordina altri due Dirigibili, che verranno destinati alla esplorazione ed alla sorveglianza, ed avranno un ruolo fondamentale nel presidio dello sbarramento del Canale d’Otranto nel corso della guerra.
L’aeroporto di Jesi è base anche di squadriglie di aerei che si integrano con gli idrovolanti della Stazione marittima di Ancona e del campo di aviazione di Varano, sotto Osimo, per la difesa della piazzaforte.
Da ricordare sul finire del 1915 il tentativo di d’Annunzio di lanciare manifestini e messaggi tricolori su Zara. Dopo che il 5 agosto il Poeta, con pilota il tenente di vascello Miraglia, aveva sorvolato Trieste lanciando messaggi tricolori ed il 20 settembre, anniversario di Porta Pia, traendo con identica missione lo stesso bel risultato, il 26 Dicembre 1915 era tutto pianificato per fare la stessa missione su Zara. Il piano prevedeva la partenza degli aerei da Venezia, rotta sud fino ad Ancona, con scalo o a Varano o a Jesi, poi un balzo verso Zara con l’appoggio di navi lungo la rotta. Dopo aver sorvolato Zara, rientro per lo stesso tragitto. Purtroppo il 24 dicembre 1915, in un volo finale di prova, in un incidente mortale perse la vita Miraglia e tutta la missione fu annullata. Di questa impresa non realizzata dimane ampia traccia negli scritti di Gabriele d’Annunzio.
Rimaneva il significato strategico dell’aeroporto di Jesi: ogni iniziativa aerea nel medio Adriatico non poteva prescindere da questo aeroporto,
Nel 1917 anche l’Aviazione dell’Esercito porto sue squadriglie a Jesi, per incrementale l’attività offensiva, nel quadro della “battaglia in porto” e della “guerriglia marittima” volute da Thaon di Revel. Jesi era perfettamente inquadrato in quella Trincea Marittima che andava dal Timavo, per Venezia, Ancona, Brindisi e con lo sbarramento del Canale d’Otranto fino in Albania. La flotta austriaca era costretta, come avrebbe scritto D’Annunzio” a vivere ferma nei suoi porti “la gloriuzza di Lissa”. In questa lotta mista di colpi di mano e propaganda, Jesi subì da parte austriaca altri bombardamenti, di cui uno, del 27 settembre 1917 provocò notevoli danni. Secondo alcuni, il bombardamento del 5 settembre 1918, che arrecò anch’esso notevoli danni, fu uno degli ultimi bombardamenti aerei di quel conflitto.
Jesi, come città, al pari di quelle settentrionali come Padova, Venezia, Treviso, Vicenza e Verona, e della altre soggette ad incursione aerea, si doto di particolari difese antiaeree. In particolare la nostra difesa contraerea aveva portato sui tetti mitragliatrici e fucili, dando vita a quella curiosa specialità che prevedeva, su altane poste sui tetti, fucilieri e mitraglieri serrati l’un coltro l’altro; dato che il personale era della Regia Marina furono definiti “marinai di grondaia”, da una espressione coniata a Venezia dalla diceria popolare. Pensare che anche a Jesi vi fossero dei “marinai di grondaia” sottolinea il ruolo importante assunto dall’aeroporto, che si affermò nella Grande guerra e poi anche in seguito.

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