Le Brigate di fanteria "marchigiane": Marche, Ancona, Macerata, Pesaro, Piceno

Le Brigate di fanteria "marchigiane": Marche, Ancona, Macerata, Pesaro, Piceno
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martedì 10 settembre 2019

Jesi nella Seconda Guerra Mondiale



La Guerra e la Guerra di Liberazione.
La seconda guerra mondiale fu vissuta a Jesi come in tutte le altre città italiane. Inizialmente vissuta come un diversivo dal quotidiano, nel clima guerresco del regime, via via si trasformò in una cosa ben più seria fino ad arrivare alla tragedia della crisi armistiziale del settembre 1943. La occupazione tedesca e l’instaurarsi delle autorità della Repubblica Sociale andò dal settembre 1943 al 20 luglio1944, giorno in cui Jesi ebbe il suo momento culminate da protagonista nella storia del Corpo Italiano di Liberazione. E quindi dell’Esercito Italiano e delle Forze Armate Italiane.
Firmato l’”armistizio lungo” a Malta il 29 settembre 1943, il dramma per l’’Italia era rappresentato dalla volontà punitiva inglese di affossare l’Italia che si contrapponeva al desiderio Statunitense di dare anche agli Italiani la possibilità di riscatto. Nella stretta convenienza per gli Alleati che Vittorio Emanuele III e il Governo Badoglio, che avevano firmato l’armistizio,  rappresentavano la giustificazione di ogni azione alleata in Italia come “liberatori” e non come “occupatori”, prevalse il punto di vista americano di formare una piccola forza combattente da impiegare contro i tedeschi. I Britannici erano dell’opinione che questo poteva diventare un pegno da pagare all’Italia al tavolo del Trattato di Pace che si doveva evitare. L’unico ruolo che Londra riconosceva all’Italia era quello di fornire le cosiddette  “divisioni ausiliare”, cioè manovalanza logistica di retrovia, che rappresentavano per gli ingerlsi il massimo utile con il minimo costo. L’Italia doveva essere liberata dai tedeschi senza il concorso degli Italiani.
Per volere degli americani, dopo che il gen. Messe ed il gen. Berardi rientrati dalla prigionia, erano stati messi a capo delle forze armate italiane del Regno del Sud,  l’8 dicembre 19143 entrò a Montelungo in combattimento il I Raggruppamento Motorizzato, composto da 5000 uomini di cui solo la metà combattenti; respinto, ritornò all’attacco di quota 343 il 16 dicembre successivo, conquistandola. Era il battesimo del fuoco, che fu dolceamaro. Dopo tensioni in cui si fu sul punto di sciogliere ogni forza combattente italiana, nell’ aprile del 1944, dopo il brillante risultato di Monte Marrone del 31 marzo, il I Raggruppamento motorizzato si trasformò in Corpo Italiano di Liberazione, che fu posto al comando del gen. Utili, e portato ad una consistenza di 25.000 uomini, ovvero a livello divisionale.
Assegnato al 2° Corpo Polacco, come terza divisione, accanto alla 3° Divisione “Fucilieri dei Carpazi” ed alla 5° Divisione “Kresowa” il C.I.L. è destinato ad operare con il Corpo Polacco sulla direttrice adriatica. Nel giugno del 1944 il Corpo Italiano di Liberazione era negli Abruzzi, concentrato nell’area Pescara-Chieti. Mentre i polacchi avanzavano lungo la statale 16, lungo la via di facilitazione marittima, il Corpo Italiano di Liberazione avanzava per la via pedemontana. Liberò  Teramo, poi Ascoli Piceno, entrando nelle Marche, Abbazia di Fiastra e Tolentino, fino a giungere con le sue avanguardie al fiume Potenza. I polacchi, anche loro in progressione verso nord, avevano come obiettivo la liberazione di Ancona e la conquista del suo porto, per alleviare il peso logistico. Ogni cosa doveva essere sbarcata a Brindisi Bari e Taranto e poi porta via terra alle linee che si allungavano sempre di più.
Il 1 luglio le due divisioni polacche, passato i Potenza attaccarono le alture di Loreto e Castelfidardo, con obiettivo Ancona. Era la I Battaglia per Ancona che si risolse in una sconfitta imprevista. Su 200 carri armati in due giorni ne furono persi oltre 50, senza riuscire a fare progressi di sorta. Il gen. Anders, comandante del Corpo Polacco, riconsiderò il piano generale e dovette prendere in considerazione gli Italiani, ovvero il Corpo Italiano di Liberazione, che in quel torno di tempo era disseminato nelle sue unità dal fiume Potenza all’area di Chieti-Pescara. Il 4 luglio 1944 Anders ordina al Corpo Italiano di Liberazione, che si muoveva “per via ordinaria” cioè a piedi, di concentrarsi per partecipare all’attacco di Ancona; come per miracolò appaiono i camions ed ogni mezzo motorizzato che permette al Corpo Italiano di Liberazione di concentrarsi sul Potenza già la sera del 5 luglio al completo. Gli viene assegnato un obiettivo preliminare: la conquista del crocevia di Filottrano, premessa indispensabile per attaccare la piazzaforte dorica. Il 7 luglio gli Italiani arrivano alle posizione di partenza per attaccare Filottrano. L’attacco viene lanciato l’8 luglio, con criteri totalmente diversi rispetto alle tattiche  precedenti in uso presso il Regio esercito. Per la prima volta cinque battaglioni di fanteria sono sostenuti da 10 gruppi di artiglieria, con un rapporto fanteria-artiglieria di 1 a 2. Mai nei precedenti quattro anni di guerra vi era stato per le forze italiane un simile rapporto. E’ la battaglia di Filottrano dell’8 e 9 luglio 1944, che si risolve in una completa vittoria italiana in cui viene praticamente distrutto un battaglione di veterani della 71° divisione di fanteria tedesca la comando del gen. Hoppe.  Le forze alleate serrano su Ancona e viene approntato il piano di attacco che vede una un uguale considerazione tra le forze polacche britanniche ed italiane. Il piano prevede l’impiego di tre gruppi di forze a livello divisionale: la 5a Divisione doveva attaccare a destra, con compiti di fissaggio ed inganno, (asse della statale adriatica 16, essendo la via più breve e facile per giungere ad Ancona; la 3a Divisione doveva attaccare, partendo da Casenove di Osimo, per Croce di San Vicenzo, Polverigi, Agugliano, Cassero e cadere alle spalle dello schieramento tedesco a difesa di Ancona, a Castelferretti e Falconara e chiedere il cerchio. Per dare sicurezza e protezione alla 3a Divisione, il Corpo Italiano di Liberazione doveva avanzare su Mazzangrugno, e puntare risolutamente su Jesi e conquistarla, costringendo le forze tedesche a retrocedere da tutta l’area dell’anconetano. Classica manovra di Corpo d’Armata, dopo che i polacchi erano stati sconfitti nella I Battaglia di Ancona per aver attaccato con sole due divisioni.
Tutto questo dilungarci sulle vicende del I Raggruppamento Motorizzato (Montelungo) del Corpo Italiano di Liberazione (Filottrano) per dire che la conquista di Jesi il 20 luglio 1944 da parte del Battaglione Alpini Piemonte e da parte delle altre unità italiane segna il definitivo riconoscimento da parte alleata , (soprattutto polacca) dell’opera e della azione italiana nella Guerra di Liberazione.
La vittoria di Jesi, peraltro troppo misconosciuta, rappresenta, quindi, una tappa miliare nella storia militare recente delle Forze Armate italiane.
I dettagli dell’azione svolta dalle unità italiane il 18 e 19 luglio portano a considerare che entrò in linea anche il battaglione della Marina “Bafile” che diede il suo contributo, In allegato alcune pagine di quei giorni che legarono Jesi e la sua popolazione ai soldati italiani. Il significato strategico della vittoria di Jesi fu che il Comando Alleato, dopo le operazioni del luglio-agosto 1944 che portò il Copro di Liberazione Italiano sulla linea del Metauro, a decidere di ritirarlo dalla linea, per porlo come base per la formazione dei Gruppi di Combattimento, e portare il contributo italiano di combattenti  ad oltre 250.000, ovvero ad assegnare anche all’Italia parte del fronte italiano nell’ultimo anno di guerra; la considerazione era tale che gli Alleati fornirono equipaggiamento ed armi riequipaggiando al completo le unità italiane. Filottrano e Jesi furono le ultime battaglie combattute dai soldati italiani con la divisa grigioverde.

Subito dopo la conquista di Jesi, il Comando alleato, preso possesso del porto di Ancona, che già fu attivato e reso agibile dal 26 luglio, ove giunsero tutti i rifornimenti via mare, e ove fu costruito un oleodotto che dal porto di Ancona, su Falconara riattivati gli impianti della raffineria, riforniva le truppe avanzanti verso nord. Gli aeroporti di Falconara e di Jesi furono ripristinati. Quello di Jesi si vide allungare la pista e divenire uno dei più importanti aeroporti alleati a gestione inglese. Con la fine della guerra, il trattato di pace, l’aeroporto funzionò fino al 1947. Da quella data l’aeroporto fu via via dismesso fino a che tutta l’area aeroportuale fu messa a disposizione della ZIPA.

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