La
Guerra e la Guerra di Liberazione.
La seconda guerra mondiale fu vissuta a Jesi come in
tutte le altre città italiane. Inizialmente vissuta come un diversivo dal
quotidiano, nel clima guerresco del regime, via via si trasformò in una cosa
ben più seria fino ad arrivare alla tragedia della crisi armistiziale del
settembre 1943. La occupazione tedesca e l’instaurarsi delle autorità della
Repubblica Sociale andò dal settembre 1943 al 20 luglio1944, giorno in cui Jesi
ebbe il suo momento culminate da protagonista nella storia del Corpo Italiano
di Liberazione. E quindi dell’Esercito Italiano e delle Forze Armate Italiane.
Firmato l’”armistizio
lungo” a Malta il 29 settembre 1943, il dramma per l’’Italia era rappresentato
dalla volontà punitiva inglese di affossare l’Italia che si contrapponeva al
desiderio Statunitense di dare anche agli Italiani la possibilità di riscatto.
Nella stretta convenienza per gli Alleati che Vittorio Emanuele III e il
Governo Badoglio, che avevano firmato l’armistizio, rappresentavano la giustificazione di ogni
azione alleata in Italia come “liberatori” e non come “occupatori”, prevalse il
punto di vista americano di formare una piccola forza combattente da impiegare
contro i tedeschi. I Britannici erano dell’opinione che questo poteva diventare
un pegno da pagare all’Italia al tavolo del Trattato di Pace che si doveva
evitare. L’unico ruolo che Londra riconosceva all’Italia era quello di fornire
le cosiddette “divisioni ausiliare”,
cioè manovalanza logistica di retrovia, che rappresentavano per gli ingerlsi il
massimo utile con il minimo costo. L’Italia doveva essere liberata dai tedeschi
senza il concorso degli Italiani.
Per volere degli
americani, dopo che il gen. Messe ed il gen. Berardi rientrati dalla prigionia,
erano stati messi a capo delle forze armate italiane del Regno del Sud, l’8 dicembre 19143 entrò a Montelungo in
combattimento il I Raggruppamento Motorizzato, composto da 5000 uomini di cui
solo la metà combattenti; respinto, ritornò all’attacco di quota 343 il 16
dicembre successivo, conquistandola. Era il battesimo del fuoco, che fu
dolceamaro. Dopo tensioni in cui si fu sul punto di sciogliere ogni forza
combattente italiana, nell’ aprile del 1944, dopo il brillante risultato di
Monte Marrone del 31 marzo, il I Raggruppamento motorizzato si trasformò in
Corpo Italiano di Liberazione, che fu posto al comando del gen. Utili, e
portato ad una consistenza di 25.000 uomini, ovvero a livello divisionale.
Assegnato al 2° Corpo
Polacco, come terza divisione, accanto alla 3° Divisione “Fucilieri dei
Carpazi” ed alla 5° Divisione “Kresowa” il C.I.L. è destinato ad operare con il
Corpo Polacco sulla direttrice adriatica. Nel giugno del 1944 il Corpo Italiano
di Liberazione era negli Abruzzi, concentrato nell’area Pescara-Chieti. Mentre
i polacchi avanzavano lungo la statale 16, lungo la via di facilitazione
marittima, il Corpo Italiano di Liberazione avanzava per la via pedemontana. Liberò Teramo, poi Ascoli Piceno, entrando nelle
Marche, Abbazia di Fiastra e Tolentino, fino a giungere con le sue avanguardie al
fiume Potenza. I polacchi, anche loro in progressione verso nord, avevano come
obiettivo la liberazione di Ancona e la conquista del suo porto, per alleviare
il peso logistico. Ogni cosa doveva essere sbarcata a Brindisi Bari e Taranto e
poi porta via terra alle linee che si allungavano sempre di più.
Il 1 luglio le due
divisioni polacche, passato i Potenza attaccarono le alture di Loreto e
Castelfidardo, con obiettivo Ancona. Era la I Battaglia per Ancona che si
risolse in una sconfitta imprevista. Su 200 carri armati in due giorni ne
furono persi oltre 50, senza riuscire a fare progressi di sorta. Il gen.
Anders, comandante del Corpo Polacco, riconsiderò il piano generale e dovette
prendere in considerazione gli Italiani, ovvero il Corpo Italiano di
Liberazione, che in quel torno di tempo era disseminato nelle sue unità dal
fiume Potenza all’area di Chieti-Pescara. Il 4 luglio 1944 Anders ordina al
Corpo Italiano di Liberazione, che si muoveva “per via ordinaria” cioè a piedi,
di concentrarsi per partecipare all’attacco di Ancona; come per miracolò
appaiono i camions ed ogni mezzo motorizzato che permette al Corpo Italiano di Liberazione
di concentrarsi sul Potenza già la sera del 5 luglio al completo. Gli viene
assegnato un obiettivo preliminare: la conquista del crocevia di Filottrano,
premessa indispensabile per attaccare la piazzaforte dorica. Il 7 luglio gli
Italiani arrivano alle posizione di partenza per attaccare Filottrano.
L’attacco viene lanciato l’8 luglio, con criteri totalmente diversi rispetto alle
tattiche precedenti in uso presso il
Regio esercito. Per la prima volta cinque battaglioni di fanteria sono
sostenuti da 10 gruppi di artiglieria, con un rapporto fanteria-artiglieria di
1 a 2. Mai nei precedenti quattro anni di guerra vi era stato per le forze
italiane un simile rapporto. E’ la battaglia di Filottrano dell’8 e 9 luglio
1944, che si risolve in una completa vittoria italiana in cui viene
praticamente distrutto un battaglione di veterani della 71° divisione di
fanteria tedesca la comando del gen. Hoppe. Le forze alleate serrano su Ancona e viene
approntato il piano di attacco che vede una un uguale considerazione tra le
forze polacche britanniche ed italiane. Il piano prevede l’impiego di tre
gruppi di forze a livello divisionale: la 5a Divisione doveva attaccare a
destra, con compiti di fissaggio ed inganno, (asse della statale adriatica 16,
essendo la via più breve e facile per giungere ad Ancona; la 3a Divisione
doveva attaccare, partendo da Casenove di Osimo, per Croce di San Vicenzo,
Polverigi, Agugliano, Cassero e cadere alle spalle dello schieramento tedesco a
difesa di Ancona, a Castelferretti e Falconara e chiedere il cerchio. Per dare
sicurezza e protezione alla 3a Divisione, il Corpo Italiano di Liberazione
doveva avanzare su Mazzangrugno, e puntare risolutamente su Jesi e
conquistarla, costringendo le forze tedesche a retrocedere da tutta l’area dell’anconetano.
Classica manovra di Corpo d’Armata, dopo che i polacchi erano stati sconfitti
nella I Battaglia di Ancona per aver attaccato con sole due divisioni.
Tutto
questo dilungarci sulle vicende del I Raggruppamento Motorizzato (Montelungo) del
Corpo Italiano di Liberazione (Filottrano) per dire che la conquista di Jesi il
20 luglio 1944 da parte del Battaglione Alpini Piemonte e da parte delle altre
unità italiane segna il definitivo riconoscimento da parte alleata ,
(soprattutto polacca) dell’opera e della azione italiana nella Guerra di
Liberazione.
La
vittoria di Jesi, peraltro troppo misconosciuta, rappresenta, quindi, una tappa
miliare nella storia militare recente delle Forze Armate italiane.
I dettagli dell’azione
svolta dalle unità italiane il 18 e 19 luglio portano a considerare che entrò
in linea anche il battaglione della Marina “Bafile” che diede il suo
contributo, In allegato alcune pagine di quei giorni che legarono Jesi e la sua
popolazione ai soldati italiani. Il significato strategico della vittoria di
Jesi fu che il Comando Alleato, dopo le operazioni del luglio-agosto 1944 che
portò il Copro di Liberazione Italiano sulla linea del Metauro, a decidere di
ritirarlo dalla linea, per porlo come base per la formazione dei Gruppi di Combattimento,
e portare il contributo italiano di combattenti
ad oltre 250.000, ovvero ad assegnare anche all’Italia parte del fronte
italiano nell’ultimo anno di guerra; la considerazione era tale che gli Alleati
fornirono equipaggiamento ed armi riequipaggiando al completo le unità
italiane. Filottrano e Jesi furono le ultime battaglie combattute dai soldati
italiani con la divisa grigioverde.
Subito dopo la conquista
di Jesi, il Comando alleato, preso possesso del porto di Ancona, che già fu
attivato e reso agibile dal 26 luglio, ove giunsero tutti i rifornimenti via
mare, e ove fu costruito un oleodotto che dal porto di Ancona, su Falconara
riattivati gli impianti della raffineria, riforniva le truppe avanzanti verso
nord. Gli aeroporti di Falconara e di Jesi furono ripristinati. Quello di Jesi
si vide allungare la pista e divenire uno dei più importanti aeroporti alleati
a gestione inglese. Con la fine della guerra, il trattato di pace, l’aeroporto
funzionò fino al 1947. Da quella data l’aeroporto fu via via dismesso fino a
che tutta l’area aeroportuale fu messa a disposizione della ZIPA.
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